La notte che stiamo vivendo

Gennaro Matino (February 05, 2017)
Esiste un campo sconosciuto ai tiranni dove la diversità non è più opposizione, dove uomini e donne, vecchi e giovani si fanno compagnia. Esiste un campo dove basta entrarci per riscoprire la dignità della vita e la nostra appartenenza al genere umano. La compassione è la sola arte che permette di ridare nuova semente a un mondo sfigurato dal dispotismo dei tiranni. È l’arma congeniale agli uomini d’amore per arricchire i poveri e liberare i prigionieri. È la vittoria degli sconfitti, la tavola imbandita dei nullatenenti, il tesoro nascosto nel campo dei disgraziati di turno, è faro nel buio pesto del non senso. Vita che da vita si nutre e della vita si fa giocoliere. Trump e i suoi alleati, per strategia di potere, mirano per prima cosa a cancellare la compassione dal vocabolario del presente, per fare subito dopo prigioniero il mondo. Il passo è veloce, e lo sarà ancora di più se i giusti del pianeta non faranno diga al dilagare dell’ignoranza.

l neo presidente Trump degli Stati Uniti sta inaugurando la stagione di una nuova notte per l’umanità. Non è improvvisazione stravagante di un personaggio tragicomico, è bene saperlo, è strategia studiata con diabolica astuzia da poteri forti, per sovvertire le regole democratiche del pianeta, quegli stessi poteri figli di un’economia diabolica che, se fosse necessaria una guerra globale per riuscire nello scopo di asservire il mondo, oggi non esiterebbero a organizzarla.

Ci sono notti dell’umanità, come questa che stiamo vivendo, nelle quali chi è sopravvissuto alla barbarie contro la libertà di pensiero, chi ancora si oppone al sopruso dell’arroganza passata come necessaria, avverte che la storia sta per partorire qualcosa di tragico, di grave, di pesante, e sente urgente il bisogno di gridarlo, di dover fare la sua parte perché questo non avvenga.

Mettere la testa sotto la sabbia non paga, o peggio è farsi complici di falsità, di illusione, di inganno. È ciò che sta avvenendo anche in Italia e a Napoli dove non mancano simpatizzanti del nuovo corso mondiale, c’è chi spera che Trump e il “trumpismo” finalmente riconsegnino ciò che si è perduto in pace, in economia, in stabilità, in sicurezza fino a sostenerne il senso. È bene saperlo, le dittature fasciste e comuniste, che hanno provato a distruggere il pianeta nel secolo scorso, oggi hanno cambiato pelle e si sono ripresentate nel dispotismo neoliberistico che viene venduto come democrazia.

E questa volta rischiano di non fallire, potrebbero portare a compimento il loro malato disegno. Hanno dalla loro la forza dell’ignoranza che dilaga, cartina di tornasole per riconoscere gli sprovveduti, i distratti, forse gli sfiduciati, gli arrabbiati, per proporre loro l’allettante scambio tra interessi di parte e giustizia, tra la propria sopravvivenza e la distruzione del diverso, tra confini protetti e isolazionismo, ma soprattutto, mestiere di sempre dei dittatori spietati, la propria vita a costo della morte altrui. È indubbio che la prima parola sacrificata sull’altare della tirannia è la compassione, lo spazio che consente all’uomo di restare uomo anche se il mondo sembra girare in maniera inversa.

La compassione, luogo sacro che unisce chi è diverso per fede, chi crede e chi non crede affatto, chi è differente per pelle, per sesso, per pensiero o provenienza, chi ancora ha il coraggio di dire “ogni uomo mio è fratello”.La compassione è un campo aperto dove non c’è necessità di etichette, di biglietto d’ingresso, né di raccomandazioni. Ogni zolla del terreno della compassione è irrorata di speranza, altra cosa dall’illusione del potere corrotto che prova a minare lo statuto dell’uomo giusto, a cambiarne i connotati, che finge di augurarti buone cose e poi tradisce. Ora innalza muri, ma ha in mente lager, parla di sicurezza ma prepara strumenti di tortura, prova a rassicurati mettendoti nelle mani le armi solo perché sta per chiederti di scendere in guerra.

Esiste un campo sconosciuto ai tiranni dove la diversità non è più opposizione, dove uomini e donne, vecchi e giovani si fanno compagnia. Esiste un campo dove basta entrarci per riscoprire la dignità della vita e la nostra appartenenza al genere umano. La compassione è la sola arte che permette di ridare nuova semente a un mondo sfigurato dal dispotismo dei tiranni. È l’arma congeniale agli uomini d’amore per arricchire i poveri e liberare i prigionieri. È la vittoria degli sconfitti, la tavola imbandita dei nullatenenti, il tesoro nascosto nel campo dei disgraziati di turno, è faro nel buio pesto del non senso.

Anche per il credente la lotta per un mondo migliore non può fermarsi alle preghiere o alle buone intenzioni, quando il nemico bussa alla porta dell’umanità deve sempre ricordare che credere è essere in perenne lotta contro ogni sopruso: “Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”.

Solidarietà dice compassione. Ma è altro. Compagnia dice solidarietà. Ma è altro. Compassione è entrare nella sofferenza dell’altro, farsi carico del dolore e rendersi complice degli afflitti per gridare con la propria voce, a nome loro, l’indisponibilità a cedere alla prepotenza dei più forti, da qualsiasi parte arrivi. Lottare a fianco, camminare a fianco, giocare a fianco, piangere a fianco.

Vita che da vita si nutre e della vita si fa giocoliere. Trump e i suoi alleati, per strategia di potere, mirano per prima cosa a cancellare la compassione dal vocabolario del presente, per fare subito dopo prigioniero il mondo. Il passo è veloce, e lo sarà ancora di più se i giusti del pianeta non faranno diga al dilagare dell’ignoranza.

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