Articles by: Francesca Di folco

  • Arte e Cultura

    New York's Golden Age of Bridges. Antonio Masi ritrae la poesia dei ponti newyorkesi

    E’ il primo ed unico fin’ora ad aver immortalato tutti i ponti di Manhattan.
     

    E il New York Transit Museum, che come suggerisce la traduzione, è il museo che celebra i mezzi di trasporto newyorkesi, rende omaggio ad Antonio Masi pittore italo-americano d.o.c. dedicandogli una personale in esposizione fino al 7 ottobre.
     

    La full immersion nell’exhibition è una chicca in sè che merita di esser svelata a parole, ma solo anticipato poichè deve essere carpita in prima persona...

    Emerge un sottobosco pulsante di feelings, dreams e states of mind che merita di esser vissuto appieno...

    Prestigio e onore per l’arte, stile ed estro nella vita di Antonio Masi hanno sempre spiccato.

    Masi emigrò dall'Italia a New York City all’età di sette anni, entrando a Ellis Island il 7 dicembre del 1947, con i suoi genitori e i fratelli.

    Cinquanta anni prima il nonno di Masi, Francesco, aveva lavorato nella gestione e il trasporto dell’acciaio come parte della forza lavoro che costruì il Queensboro Bridge.

    I trascorsi dell’adorato nonno hanno significativamente segnato mente e cuore dell’artista in potenza che era in Antonio: le narrazioni della costruzione del mitico bridge fatte da Francesco, furono raccontate alla famiglia Masi e Antonio, che da sempre adorava disegnare, ne fu intrigato.

    Al suo arrivo a New York, Masi fu profondamente attratto dal charming della City, ammaliato dal fascino iconico dei ponti, estasiato specialmente del Queensboro...

    L’attimo in cui vide il complesso fu una vera e propria folgorazione rivelatrice del futuro del giovane: sarebbe divenuto un artista, un painter...

    Con la sua famiglia di stanza nell’Upper East Side, Masi frequentò l’High School of Industrial Art, eccellendo nelle illustrationi, diplomandosi nel 1958 per accedere poi alla School of Visual Arts and was graduated with honors in 1961.

    Antinio inizia la sua carriera professionale come artista per numerose pubblicazioni e art agenzie d’arte e nel 1962 si sposa con l’artista Elizabeth Jorg, mettendo su famiglia.

    Nel ‘66 insegna arte all’High School of Industrial Art, nel ‘73 è nominato Art Chairperson e, iscritto alla CUNY, consegue la laurea in History of Art nel ‘75.

    La carriera prosegue e Masi nel ‘79 divenne partner di Ads ‘n Color, tra i più prestigiosi e quotati studi di graphic arts and printing companies.

    Il 2000, è l’anno del grande passo: dopo 40 lustri di lavoro abbanda i suoi affari per darsi totalmente all’arte, il pittore inside che è in lui viene alla luce: è finalmente libero di soddisfare il sogno che aveva fin dall’infanzia, di dar sfogo alla passione di una vita, divenire un artista a tempo pieno, un painter a 360°...

    Per quasi dieci anni, Masi si concentra prevalentemente su dipinti riguardo i ponti di New York City, iniziando dal Queensboro. Ad oggi, l’artista ha completato più di un centinaio di tele e nominare come serie “Bridgescapes”.

    Nel 2006, The Artist’s Magazine sceglie le tele di Masi sul Queensboro Bridge, il “N.Y. Tramway II,” come vincitore del First Place nella categoria Landscape nel contesto “Best Art” del magazine che descrisse “N.Y. Tramway II” come “dark and pulsating” and relating “a stirring, overpowering sensation.”

    In New York's Golden Age of Bridges che abbiamo il piacere e l’onore di vedere al New York Transit Museum, l’artista collabora con lo scrittore e storico newyorkese Joan Marans Dim per offrire una multidimensional exploration dei nove maggiori ponti di New York, il loro artistici e culturali basi, e il loro impatto in tutto il mondo.

    E non è retorica dire che rimirando le tele, Masi ci proietta direttamnete sui ponti, nel cuore dei giganti d’acciaio, la sensazione che si avverte è di far quasi parte dello splendido landscape che ritraggono...

    Il racconto su New York City's bridges inizia nel 1883, quando il Brooklyn Bridge emerse maestosamente sull’East River, segnando l’inizio della "Golden Age" della costruzione di bridges negli States. Il Williamsburg seguì nel 1903, il Queensboro, rinominato Ed Koch Queensboro Bridge, e il Manhattan nel 1909, poi fu la volta del George Washington nel 1931, dell Triborough, rinominato Robert F. Kennedy Bridge nel 1936, del Bronx-Whitestone nel 1939, Throgs Neck nel 1961 e il Verrazano-Narrows nel 1964.

    I più grandi ponti statunitensi, costruiti quasi interamente da ingenieri, architetti e lavoratori immigrati hanno come significato profondo non solo lavoro e l’ingegno, ma anche il coraggio e il sacrificio di chi li costruì. Che troppo spesso esigette un pesante tributo: un numero impressionante di vittime perì tirando su questi complessi monumentali. Lo stesso designer e ingegnere capo del Brooklyn Bridge, John A. Roebling, morì durante la costruzione del ponte. Eppure oltre questi aneddoti esiste un’altra narrativa che abbarccia dreams and ambitions della City e dell’intera America.

    Behind New York City's Golden Age bridges c’è la rivelazione di un perfect moment di grandie progettazione di costruzioni per stile, ingegno, complessità d’articolazione dei lavori facenti parte di un contesto storico-artistico di notevole rilievo...

    Beyond New York City's Golden Age bridges c’è la comprensione, l’apprezzamento, il riconoscimento, oltre che del valore proprio dell’arte e della storia dei ponti, ad esplorare l’inestimabile links che bridges favoriscono dando vita a spaccati sociali, culturali, economici di interconnessione.

    Masi predilige la tecnica watercolorist, ma i suoi dipinti non hanno il sapore, non suggeriscono l’idea fragile ed incosistente dei watercolor paintings...

    Tuttaltro, dalle tele emergono sfumature di colore forti, tite decise, toni straripanti di guizzi briosi...

    Masi ha saputo trasformare una tecnica usata in prevalenza per indicare leggerezza dello sguardo impreziosendola nello stesso modo che altri usano olii.

    Il risultato è un approccio eccellente. La tecnica unica di Masi sull’uso del watercolor lo accompagna nel catturare each bridge’s mass, power, and delicacy dei ponti di Manhattan.

    Ognuno di questi ponti ha una storia a sè, una vita propria, si nutre di linfa pulsante singolare...

    Il tocco unico dell’artista è certo quello di saper fondere dovizia di dettagli materiali, strutturali, fisici con sprazzi folgoranti di feelings: quante genti li hanno attraversati, quante storie si sono intrecciate su questi giganti con l’anima, quanti ancora vivono e vivranno per sempre le stupefacenti connessioni non solo fisiche, di uso-trasporto, ma mentali, di pura parità tra le comunità multietniche e autentica freedom open-minded...

    Il tutto rivela lo straordinario impatto dei nove ponti della Golden Age sulla City, la nazione e il mondo intero.

    Abbiamo parlato della splendida exhibition con l’autore Antonio Masi che ci ha gentilmente concesso un intervista.

    Come nasce il suo interesse per i ponti di New York? Francesco Masi, suo nonno, faceva parte dell’enturage-forza lavoro che costruì il Queensboro Bridge...


    Questo l'ha influenzata per i ponti di New York City?

    Crescere in una grande famiglia, la mia conta ben 8 tra fratelli e sorelle, ascoltando storie americane, vissuti statunitensi ed esperienze in prima persona di mio nonno, Francesco Masi, manovale sul Queensboro Bridge, ha suscitato in me immagini d’apprima stereotipate su New York City, poi via via sempre più nitide, concrete, vere... fino a divenire reali con il trasferimento nel Nuovo Continenete...

    Infatti subito dopo la traversata, il mio primo desiderio nella Big Apple fu di vedere il Queensboro Bridge, struttura iconica dall’impatto travolgente per l’impronta artistica indelebile che mi lasciò addosso...

    Questi primi respiri statunitensi crearono visioni di Manhattan, New York e l’America, che hanno fatto e continuano a far parte di me, condizionando, influenzando, caricando di continuo la mia arte...

    Per quasi dieci anni lei si è focalizzato quasi esclusivamente sui dipinti dei ponti di New York, iniziando dal Queensboro e, a oggi, ha portato in opera più di un centinaio di tele, considerando la “Bridgescapes” series.

    Perchè i ponti sono protagonisti nella sua produzione? Qual’è l’elemento più importante dal quale è ispirato?

    Ero e sono tutt’ora interessato all’architettura. Fui selezionato al Cooper Union for Architecture, ma accettai uno scholarship to the School of Visual Arts per le illustrazioni, perchè sentii che avrei potuto avere molta più libertà d’espressione artistico-creativa. Anche se le materie dei miei soggetti non lasciavano trasparire molto le emozioni, poichè l’elemento più rilevante è catturare il “Senso del Posto”, faccio in modo che i viewers sentano, avvertano, scrutino con gli occhi del pittore che ritrae la tela e vedano ciò che lui avverte, scorgano i dettagli che giudica rilevanti, si nutrono della sua visione...

    L’elemento dal quale colgo ispirazione Sono molto attento e avverto la rilevanza della dimensione pittorica vicina a me... Dai commenti dei surroundings artistici, ai feeling dei neighborhood, tutto da il senso della temperatura creativa del momento. Chiedendo un commento sulle mie tele, una persona mi rispose: “Sono così grandi -i miei paintings sono 60”x40”- che mi sento come fossi sopra al ponte stesso!”...

    In "New York's Golden Age of Bridges" le tele ritraggono ponti in uno stile impressionista. Lei pensa che i dipinti siano espressione della real nature dei soggetti o si sente più creatore di una personal interpretation of reality?

    Credo che tutti i dipinti siano una personale interpretazione dell’esistenza e dei momenti della vita degli artisti che li realizzano. Tutti noi siamo frutto dell’ambiente creativo nel quale ci forgiamo, la nostra arte trae i primi vagiti e ci consente lo sviluppo pieno dell’estro...

    Il mio modus operandi, processo creativo della mia pittura, l’incipit lo avverto incontrando il soggetto, ponte in questione, di persona...

    Cammino avanti e indietro attraverso la struttura per capirne i dettargli, coglierne la complessità e abbozzare mentalmente schizzi...

    Vado ad assorbire l’energia che sprigiona il ponte... a le sensazioni che mi provoca e, in relazione ad esse, le trasformo traducendole in arte...

    Sul posto faccio uno sketch attraverso forme astratte sul mio blocco e creo una composizione stimolante...

    Stilo di getto il disegno, valuto colori e prospettive, basilari per catturare la mia personale interpretatione del momento...

    La cosa più complessa -e insieme la più rilevante- è essere focalizzato sulla visione che per prima mi ha ispirato: uno stralciato del lavoro che giudico molto duro èseguire i progressi delle tele e prendere decisioni che supportino il concetto e la visione del dipinto.

    Il mio lavoro si nutre del catturare l’essenza fondamentale dell’immagine, il core del soggetto, che è l’anima, spirito ed l’essenza di tutto ciò che vediamo e sentiamo.

    Le sue tele sono realizzate esclusivamnete con watercolors. L’uso degli acquarelli è legato ad una particolare ragione e/oscelta tecnico-stilistica?

    In origine usavo oil paints, poi mia moglie Elizabeth mi suggerì di provare gli acquarelli.

    Watercolor, data la sua natura fluida, regala luce, delicatezza e transparenza.

    Presto ho scoperto che l’aggiunta di un lieve body color, medium davvero potente, regala tocchi personali alla tela, impreziosendo il dipinto con linfa vitale nuova...

    L’effetto che se ne trae è uno sguardo come si hanno solo in volo, quando si avverte la sensazione del librarsi, che si articola in note di leggerezza, seguite, l’istante dopo, da toni decisi e accesi.

    Questo era la chiave interpretativa che cercavo: la cresta di ferro contro la luce dell’atmosfera, la poliedricità delle strutture portentose in grado di connettere districts stracolmi di etnie versus mozioni di solitudine di visioni, un eterno rimando al gioco degli opposti...

    In "New York's Golden Age of Bridges" la sua arte ha il potere di ri-creare sogni. Lei vive e lavora a New York. Realtà a tinte forti e ritmi frenetici della City condizionano la dimensione etnica delle tue opere? Le tue tele sono uno specchio della società statunitense?

    New York City è una realtà frenetica, lontana davvero anni luce dall’idillico luogo dei miei natali...

    Ho superato la 60ina di anni a New York City, e continuo ad essere ispirato per ricreare queste strutture che così mi sbalordiscono...

    Attraversare il Brooklyn Bridge, stare alla sua presenza, sentire la sua immensità...

    Si è dominati dai segni e dalle possibilità di Manhattan. Esperienze di questo tipo lasciano un tattoo impresso nella mente.

    Sono così overpowering feeling dalla City, che i ponti sono quasi nel mio Dna...

    Lei considera i ponti come "living part" della City? Si possono considerare come connessioni oltre che tra quartieri e distretti anche tra differenti states of mind, mindsets?

    Per Harold Holzer: “Bridges are perhaps the most overlooked of the human-made landscape-altering master pieces of the New York cityscapes”.

    Per oltre un decennio ho ritratto i maggiori ponti di Manhattan. Questi connettono più che terre, luoghi e siti, people, masse, umanità... Sono un’ancora viva con il mio passato...

    Poichè ogni ponte è aperto, connesso in linking con quartieri, distretti, boulevard indicanti il fiorire di realtà di vita sociale, crescita economica, spaccati culturali, estri artistici di tutto rilievo...

    Senza questi giganti con l’anima mancherebbe brio, exciting, amazing...

    Sono lo skyline febbrile della City, il lifeline che muove tutto...

    New York è caleidoscopica, eclettica e l'artista s'arricchisce, cresce del fascino multietnico. Ci sono aspetti della realtà di vita newyorkesi da cui prendi spunto per la sua arte? Cosa ti ispira della Grande Mela? Quali sono gli effetti sulla tua arte?

    Quando si attraversa il Brooklyn Bridge, si pensa di averlo conquistato... Invece si realizza poi che è lui ad averci conquistato con its history and imposing structure.

    New York è una reflection of the world con la sua multi-ethnicity. Questa diversity è la sua grandezza, l’open minded. Ti fanno venire la sensazione di vivere in un specchio di immagini che si affacciano sul mondo intero...

    Camminare su di essi consente di notare scorci, fa emergere spaccati, vivere sempre nel mezzo potendo esser trasportati dall’altra parte...

    Questo è stimolante ed eccitante...

    I più grandi ponti americani costruiti quasi interamente da ingegneri, architetti e manodopera immigrata hanno per me un simbolismo denso di significati chiamato “American Dream”, dal quale sgorgano speranze, investimenti di vite, desideri più reconditi di affermazione...

    Se ho reso l’idea ben si comprende quale può esser l’effetto pieno di queste buildings sui miei thoughts, feeling, dreams e art.

    I suoi lavori sono stati esibiti in tutta America, ma lei è un Italian-American painter...
    Che differenze/somiglianze ci sono tra l'arte moderna italiana e quella americana?

    Il mio background creativo si infarcisce e pone radici nel contesto dell’arte occidentale e in particolar modo dal Rinascimento. Tutte le arti hanno principi comuni fondamentali che si sono sviluppati nei secoli...

    Ogni generazione reinterpreta questi principi secondo i loro periodo, l’ambiente e adjusts them accordingly. Che il pittore sia realistico, astratto o non -rappresentativo, i principi fondamentali esistono in tutti. Solo la superficie fa la differenza, solo questa appare difforme...

    Per far proliferare l’arte ci carichiamo sulle spalle peso, onere, rilevanze stilistiche di coloro che ci hanno preceduto, sperando di contribuire degnamente alla diffusione della complessità dell’arte...

  • How I Roll di Paola Pivi
    Arte e Cultura

    How I Roll. In “volo” su Manhattan con l'aereo di Paola Pivi

    La spiccata predilezione di Paola Pivi per gli aeroplani è cosa risaputa e particolare arcinoto negli ambienti d’arte del Belpaese.

    Nel 1999, alla Biennale di Venezia, aveva capovolto un caccia Fiat G-91, esposto poi anche nella personale del 2006 alla Fondazione Trussardi. Nel 2009 invece il viaggio in aereo l’ha fatto fare a ottantaquattro pesci rossi, che hanno sorvolato, in altrettante palle di vetro, il mare di Tasman.
     

    Stavolta, l’artista milanese l’aeroplano – un piper Seneca a sei posti – ha deciso di farlo volteggiare, come un agile ginnasta, intorno a un perno.

    L’installazione dal titolo How I Roll rappresenta il primo progetto pubblico dell’artista negli Stati Uniti, è stata prodotta- commissionata dal Public Art Fund di New York e sovvenzionata da alcune donazioni private.

    Milanese, 32 anni, Paola Pivi si è affermata con una carriera a dir poco fulminea, la sua prima personale risale infatti al 1998, come una presenza dalla tempra forte e dal carattere deciso dell’arte italiana.

    Mantenendo una sorta di formalizzata, fredda oggettività, l’artista presenta attraverso grandi fotografie situazioni in cui persone, oggetti, animali, sono colti in situazioni surreali.

    Si tratta di vere e proprie performances senza spettatori, condensate in immagini.

    La Pivi si è fatta notare con exhibition di grande effetto: dal camion rovesciato del 1997, all' aereo da caccia, un Fiat G-91 capovolto del 1999, esposto alla Biennale di Venezia.

    Il suo lavoro più recente, visibile nelle sale del Macro di Roma, propone grandi foto di zebre in un paesaggio alpino innevato.

    Così è stato per l’asino in una barca, la cui gigantografia ha campeggiato su un rio di Venezia durante la Biennale 2003, e per gli struzzi su una spiaggia.

    Altra performance della Pivi che ha suscitato clamore è “Cento cinesi” del 1998 in cui cento cinesi posarono uno accanto all’altro formando un quadrato, nella galleria milanese di Massimo De Carlo.

    L’artista attualmente è impegnata nel progetto di fotografare in scala 1:1 gli oltre 2 km dell’isola di Alicudi dove vive quando non è a Londra.

    L’artista rivela nei suoi lavori una matrice concettuale, duchampiana, coltivata con distacco “scientifico”, forse influenzata dagli studi di Ingegneria che aveva intrapreso.

    Artista globetrotter ed ecumenica, quest’estate 2012 Paola Pivi ha deciso di dare un’evidenza plastica, tangibile e incontrovertibile, a questa sua vocazione. E allora ecco che a New York installa il suo How I Roll, un aeroplano piper Seneca a sei posti che volteggia intorno a un perno, appeso in verticale per le ali, è in grado di ruotare lentamente sul suo asse, con entusiamo trascinanate per il pubblico.

    How I Roll attiva al Doris C. Freedman Plaza, l’angolo tra la 5th Ave e la 60th St di Central Park dal 20 giugno, data della sua inaugurazione, dalla quale non ha mai smesso di ruotare fino al 26 agosto, data di chiusura dell’installazione, è purtroppo incorsa lo scorso 18 luglio in una tempesta di pioggia.

    Una volta tornato il sereno, il Piper ha iniziato a ruotare molto più lentamente di prima. A questo punto alcuni responsabili del Public Art Fund hanno deciso di rimuovere la scultura per effettuare alcune riparazioni: “abbiamo deciso di agire cautamente con tutte le precauzioni del caso. Così abbiamo rimosso l’aeroplano e l’abbiamo riportato in studio per aggiustarlo.”

    A causa della complessità della struttura e delle settimane di tempo necessarie per aggiustarla e per testarla si sarebbe dovuto attendere fino ad agosto inoltrato per rivedere in azione il Piper.

    A questo punto, visto e considerato che la data di chiusura dell’installazione era stata fissata per il 26 agosto, Paola Pivi ed il Public Art Fund hanno deciso di chiudere in anticipo la loro avventura: “il Public Art Fund ha trasformato un mio sogno in realtà con la realizzazione di questa installazione. Ho concepito l’opera per la città di New York e dopo averci lavorato per diversi anni sono estremamente felice di aver raccolto i consensi del pubblico nell’arco di questo mese. Penso che quest’opera sia meravigliosa e sono soddisfatta che sia stata in mostra per tutto questo tempo” ha dichiarato Paola.

    L’aereo della Pivi è atterrato prima del previsto.

    Idee, creatività ed estro di questa performer cosmopolita sono ancora in alta quota...

    Impegni ed ingegno viaggiano anni luce nella sua mente poliedrica...

    Neanche il tempo di brindare all’installazione, che l’imprevedibile quarantenne – che vive da tempo ad Anchorage, Alaska – approda a Shanghai, per la sua prima grande personale in Cina, al Rockbund Art Museum.

    Tre monumentali installazioni, un grande disegno e una selezione di fotografie, dipinti e oggetti, per l’esposizione curata dal direttore del museo, Larys Frogier, titolo Share, But It’s Not Fair.

  • Arte e Cultura

    IT, interioritratti. Manhattan brilla delle lampade con l’anima di Stefania Vola

    Architetto navigato, attivo su scala internazionale, curatrice di interni ed esterni, ristrutturazioni di progetti culturali pubblici e privati, realizzatrice di guide per congressi, allestitrice di musei interattivi.
     

    Come si possono condensare tante attività in un unica persona?
     

    C’è tutto questo e molto altro ancora nella vita di Stefania Vola, spumeggiante professionista a 360°, che abbiamo avuto il piacere e l’intensità di incontrare a Manhattan.

    Di formazione umanistica, architetto dal 2002, l’indole poliedrica di Stefania Vola spazia a tutto tondo trascinata dagli interessi dell’artista in campo creativo.

    La carriera della designer è tutta in salita: entra in contattatto con innumerevoli studi di architettura a Torino, in particolare nell’ambito fieristico con Think Pink, Converse All Star e DSL 55, aziende del settore sport e moda. Dal 2004 esercita la libera professione, occupandosi di ristrutturazioni e interior design. Il 2005 per la Vola è l’anno delle collaborazioni che contano: lavora anche per l’ordine degli Architetti e la Camera di Commercio di Torino, dove propone, coordina e realizza Turin Tour, eccentrica guida ai luoghi del vivere e del design, rieditata per il XXIII Congresso UIA di Torino nel 2009.

    Dal 2006 Stefania estende i suoi impegni oltre i confini torinesi e piovono letteralmente quelli che la coinvolgono... Fioccano le richieste di suoi interventi in numerosi progetti culturali di allestimenti museali per enti pubblici del Piemonte, Liguria, Sardegna, Sicilia.
     

    La designer è attiva con format di musei multimediali, immersivi e interattivi, con l’allestimento scenografico di diverse mostre.

    L’architect che è in lei ben si sposa con l’artista che, col tempo emerge...

    Da 2009 Stefania Vola si dedica a diversi ambiti creativi, in particolar modo al design e all’art design, con progetti di arredamento, illuminazione e gioielleria.

    Stefania ci mostra le sue opere che respirano d’arte...

    Creater a 360°, la Vola predilige un approccio progettuale che sia, a qualsiasi scala, trasversale e interdisciplinare, emozionale e fortemente evocativo di valori poetici, ricercando nel segno, come nelle scelte materiche, espressione e sintesi di identità.

    L’artista al momento è a Manhattan per presentare IT interioritratti, collezione di oggetti di art design unici nel loro genere, prodotti principalmente in limited edition e riconducibili alle categorie di illuminazione, arredamento e accessori.

    Extravagant items of furniture nascono da ispirazione artistica, sono contraddistinti da una spiccata carica emozionale e fortemente evocativi di valori poetici...

    Furnishing che calati nel quotidiano ne frantumano il monotono scorrere, introducendo una cesura nella consuetudine, per richiamare tout-court una dimensione poetica e significativa,

    Tutto esula, evade, eccede ben oltre gli schemi ordinari: lo spettatore ne ha prova nella totale armonia che pervade ogni pezzo...

    IT, interioritratti, al di là di ogni singola interpretazione, appaga i sensi...

    Soddisfa il bisogno di poesia, riempie del soffio dell’anima, dà vita ad ambient che nutre l’essenza più profonda dell’intimità d’ognuno, con toni di leggerezza giocosa e note d’ironia...

    IT è tutto ciò che questi oggetti non sono, ma possono evocare, offrendo sottili emozioni per uno stile di vita improntato all’armonia.

    Con il valore aggiunto di un art design made in Italy.

    Uno spaccato di Interioritratti ha vita a se stante, come sprazzi di creations autonome, uno spin-off d’arte nell’arte...

    Stefania ci presenta l’ultima nata tra le sue creazioni...

    E’ un autentico bagno di luce, puro e sensuale, quello che ci attende... costellato da elementi che sono “preziosi” nel senso autentico del termine... che danno vita alla serie Luminaria.

    Lamps particolari per la forma, affusolata, di donne acrobate in pose da contorsioniste...

    Uniche per la materia con la quale l’artista le realizza, la delicata resina...

    Profonde allo sguardo, poichè l’impatto emotivo è notevole...

    Che le si guardi, le si ammiri e gli spettatori ne siano attratti, queste charming lamps scatenano forze inconsce, facendo emergere andirivieni di emozioni.

    Le lampade sprigionano mix di forza, brio ed energia...

    E infondono relax distensivo al tempo stesso.

    Items con l’anima in un vortice full of life...

    Stefania Vola, per il debutto delle proprie opere negli States, ha chiesto ad un suo grande amico, nonchè artista internazionale, Arturo Brachetti, di intervenire con il suo efflato alchemico witched mix di brio e ironia, nella presentazione della collection...  

    Brachetti saprà senza dubbio accendere la magia con straordinari giochi di trasformismo e lievi note di poesia per evocare l’incredibile potere, insito in ognuno di noi, di esaudire desideri capaci di trasformare i sogni in realtà.

    Ed una mirabolante lamp, è quella che la Vola ha dedicato al performer Brachetti che reinterpreta la favolosa lampada di Aladino e trova in Arturo il genio odierno a cui rendere omaggio...

    In ‘...quel genio di Arturo!’, ispirata alla straordinaria lampada della fiaba, Stefania evoca le fattezze stilizzate attraverso l’uso di un foglio in fibra di carbonio nera resinata e internamente dorata e la magia grazie all’uso della tecnologia che consente, oggi, di accendere/spegnere l’intensità luminosa semplicemente per sfioramento.

    Incuriositi dall’estro dell’architect-artist, abbiamo chiesto a Stefania Vola un’intervista per saperne di più sulla sua produzione, la creatività e la sua philosophy of life. E la creater ci ha gentilmente accompagnato lungo un’appassionata chicchierata nel suo stile spumeggiante.

    Sei una professionista molto impegnata, il tuo curriculum parla per te: dai lavori relativi a progettazione totale o parziale di interni, al coordinamento editoriale della guida Torin Tour, alla progettazione del museo virtuale di Villa Grock, solo per citarne alcuni...

    Ho iniziato a collaborare con studi di architettura negli anni dell'università, con alcune esperienze entusiasmanti come la progettazione di stand per la DSL55, la linea giovane della Diesel, all'Ispo di Monaco di Baviera e poi a San Diego in California o per la Converse All Star a Firenze Pitti.

    Una volta iniziata l'attivita di libera professionista ho spaziato fra ristrutturazioni, specializzandomi nel tempo in lavori di interior design 'cuciti su misura' - un esempio per tutti: uno studio-abitazione nel centro di Milano, con un arredamento interamente disegnato per valorizzare meravigliose collezioni di documenti e oggetti d'arte e storici - e progetti di allestimenti multimediali per mostre o musei commissionati da enti pubblici.

    Questi ultimi in collaborazione con uno studio di progettazione culturale - lo Studio Vassallo di Torino - ed è proprio il 'progetto culturale' sin dall'inizio il cuore e il motore della mia attività: lo slancio creativo nasce sempre da un'idea densa, un nocciolo pregnante di significati, che prima di essere tramutati in termini formali, vengono sviscerati nelle molteplici sfaccettature, per poi seguire un iter commisurato di sviluppo progettuale.

    La complessità del progetto è di per sè affascinante e riuscire ad armonizzare significante e significato è una sfida emozionante, a tutti i livelli. Per questo mi sono occupata anche, ad esempio, di progetti editoriali: la guida 'Turin Tour' è nata dal mio desiderio di offrire a una fascia di turismo culturale uno strumento versatile, che consentisse di leggere e vivere Torino come la città in grande fermento quale era in vista delle Olimpiadi Invernali del 2006, con nuovi spazi pubblici e privati, visti anche con lo sguardo vivace di giovani creativi...

    La guida, promossa dall'Ordine degli Architetti e dalla Camera di Commercio è poi finita, in seconda edizione, nelle bag degli ospiti al Congresso Mondiale degli Architetti ospitato a Torino nel 2009: il posto giusto per divulgare un'immagine più evoluta e accattivante di questa eclettica città...!
     

    Fra i progetti di allestimenti multimediali uno dei più significativi è sicuramente il Museo del Clown a Villa Grock, Imperia, realizzato magistralmente dalla Bernini spa che si è aggiudicata l'appalto, e la cui inaugurazione è prevista per questo autunno.

    E' una scelta notevole quella di passare dall'architettura alla creazione... Con Interioritratti ti metti in gioco, per la prima volta, anche come art-maker. A che si deve questo salto notevole nella tua carriera?

    Il progetto è una sfida coinvolgente a tutti i livelli -"dal cucchiaio alla città"- diceva Rogers...

    Tuttavia, nell'ideare un oggetto, la creatività e il sentire artistico possono confluire con molta più immediatezza in una soluzione formale...
     

    Dopo essermi dedicata per alcuni anni a ristrutturazioni e a progetti museali, ho sentito l'esigenza di dar spazio alla passione che ho sempre avuto per l'arte e per il design, trovando nell'art design la giusta dimensione di incontro e di espressione creativa di questo connubio.

    Interioritratti è nato dal desiderio di lasciar emergere liberamente il mio sentire artistico, coniugandolo con l'attitudine, per me irrinunciabile, del dare alla materia il volto di ciò che la anima, che offro ai miei committenti, pubblici e privati, come un dono.

    Mettendo insieme alcuni oggetti 'sentiti' e con un approccio trasversale che spazia senza regole dall'illuminazione all'arredamento all'accessorio moda, ho voluto ragionare in termini di collezione, con produzioni prevalentemente in limited edition, pensando a una formula reiterabile  nel tempo.

    Interioritratti è un gioco che vorrei che per me non finisse mai...

    Hai studiato e ti sei perfezionata in Italia e fin ora tutte le tue esperienze lavorative si sono sviluppate nel BelPaese.

    Eppure hai deciso di esporre nella Big Apple la tua collezione e vuoi farlo in grande... Raccontaci questa prima impronta d'internazionalità come è nata...

    In realtà ho viaggiato parecchio negli anni degli studi e, ad esempio, il progetto 'Turin Tour' è nato mentre frequentavo un corso di architettura high-tech a Londra. Ho sempre avuto, mentalmente, una visione internazionale e quando ho iniziato a pensare a 'Interioritratti' è stato naturale pensare a un approccio senza confini.

    Immaginando che questo progetto artistico duri a lungo, vorrei abbinare ogni collezione ad una città scelta mettendo il dito sul mappamondo: Manhattan è per me il palcoscenico ideale, per l'energia straordinariamente viva che emana e sa regalare...

    Per questo, con un certo ardire, ho chiamato questa prima collezione 'NY collection' e la fortuna mi ha sorriso, offrendomi l'opportunità di presentare uno dei prototipi proprio a Manhattan, lo scorso luglio nell'ambito di un evento di promozione del territorio Langhe e  Roero, organizzato all'Enit e al prestigioso ristorante San Domenico...

    Occasione in cui ho avuto modo di intessere una serie di contatti promettenti, con referenti di realtà istituzionali newyorkesi, come il Lincoln Center e il Moma. In quei giorni ho anche potuto incontrarmi con un promoter d'eccezione con base a Los Angeles, interessato alla mia produzione... vedremo!

    Da indiscrezioni che circolano sappiamo che una sezione di Luminaria è costituita da lampade molto particolari e dedicata ad un personaggio d'eccezione che il pubblico italo-newyorkese ha imparato a conoscere molto bene, Arturo Brachetti...

    Come accennato il mio approccio è trasversale e multidisciplinare, non credo esistano confini netti fra le varie forme di espressione artistica, spesso complementari. Io stessa amo il design, ma ne sento e ne soffro i limiti!

    Non è possibile trasmettere con un oggetto la struggente e variegata bellezza di un passo di danza, di un intenso fraseggio musicale, di una bruciante battuta cinematografica...

    Paradossalmente è come se vivessimo immersi in un'opera d'arte a tutto tondo... e quello che esprimiamo è nella migliore delle ipotesi un tenue vagito...

    Per questo ricerco ciò che amo anche in altre discipline artistiche e in artisti particolari, che mi conquistano nella loro unicità e a cui mi ispiro a volte nel creare i miei oggetti...

    Nella serie Luminaria, sculture in resina che diventano suggestive lampade da terra o sospensione, Isadora è dedicata alla straordinaria Isadora Duncan...

    '... quel genio di Arturo!' invece è dedicata ad Arturo Brachetti, che ho avuto la fortuna di incontrare durante gli studi di approfondimento in materia di illusionismo fatti per sviluppare il progetto del Museo del Clown di Villa Grock.

    E' stato Arturo all'epoca, quando gli ho parlato di Interioritratti, a chiedermi di dedicargli un oggetto in particolare: così è nata questa rivisitazione in fibra di carbonio della lampada di Aladino... di cui Arturo, con la sua incredibile e magica poeticità, è il nuovo genio.

    Entrambe,  l'uomo e l'oggetto, evocano il potere, insito in ognuno di noi, di  trasformare i sogni in realtà... e questo potere in effetti funziona! Infatti l'evento a cui sono stata invitata a partecipare aveva come testimonial proprio Arturo Brachetti e questa è stata la liaison che mi ha portato inaspettatamente a New York, ancora in fase di prototipazione!

    In realtà è da oltre un anno che lavoro alla possibilità di mettere in scena un evento molto particolare a Manhattan, che esprima in maniera inedita questo approccio trasversale all'art design, coinvolgendo diversi artisti di livello internazionale. Spero di poter, in tempi ragionevoli, realizzare questa impresa, nel cui valore artistico e mediatico credo molto, pur essendo consapevole che per riuscirci occorra, oltre alla capacità, una notevole dose di fortuna, soprattutto nell'individuare i partner e gli sponsor disposti ad investire.

    Come definiresti il tuo stile? C'è un'opera o una serie alla quale sei più affezionata? O che ti ha convolto emotivamente di più?

    Il mio stile è semplice, sentito...

    In questo credo a volte di essere contro-corrente, in un mondo, specialmente artistico, che usa spesso la provocazione per attrarre l'attenzione. Qualità che giudico stonata se fine a se stessa: amo  stemperare i significati col gioco e con l'ironia...

    Interioritratti, com’è racchiuso nel nome stesso, riprende un po’ la filosofia del Dolce Stil Novo... roba antica forse, non credo mai superata.

    Ogni oggetto di Interioritratti nasce da una particolare ispirazione artistica ed ha un suo carattere, un'anima. Io amo particolarmente la serie Luminaria, che mi consente di dedicarmi a una mia antica passione, la scultura, con un materiale molto contemporaneo e lieve, la resina.

    Blue green soul e Isadora, i primi due soggetti di Luminaria, mi hanno emozionato profondamente.

    New York è caleidoscopica, eclettica e l'artista s'arricchisce, cresce del fascino multietnico. Ci sono aspetti della realtà di vita newyorkesi da cui prendi spunto per la tua arte? Cosa ti ispira della Big Apple? Quali sono gli effetti sulla tua arte?

    New York mi affascina e conquista in quanto terra-luogo mentale del possibile, oltre le barriere e gli stereotipi. Una lezione purtroppo non ancora imparata né applicata in troppi altri luoghi del mondo.

    Un esempio di progetto insieme artistico e commerciale che trovo geniale e perfettamente riuscito è quello di Bond n.9, che coniuga un prodotto - il profumo e il suo flacone -  con una serie di eccezionali interpretazioni artistiche che declinano un'unica azzeccatissima confezione che celebra la Big Apple, i suoi quartieri e le sue molte anime.

    Tu hai studiato e ti sei perfezionata molto nel campo dell'architettura. Che differenze/somiglianze ci sono tra scorci d'universi artistici così poliedrici come lo stile italiano e quello statunitense?

    Credo che la forza dell'approccio progettuale statunitense, mi riferisco in particolar modo all'architettura, sia nella libertà che nel respiro dei volumi, mentre il talento italiano oggi si esprime in particolar modo nella capacità di definire sapientemente i dettagli creando identità.

    Quando lo stile italiano viene copiato, solitamente ne risulta un linguaggio globalizzato - impoverito - che perde di sapore. Per contro, la creatività italiana non sempre è supportata dall'organizzazione e dall'articolazione che rendono possibili gli arditi progetti statunitensi...

    Forse i risultati migliori si possono avere in ambiti di collaborazione fra ruoli complementari...

  • Arte e Cultura

    Freedom, Peace and Joy. A Manhattan è di scena l’equality art targata Ylenia Mino

    "My purpose as an artist is to give peace and joy to people through my paintings.

    The colors in my artwork are strong and lively; they are an expression of my joie de vivre. My paintings are often very close to reality but sometimes they have a touch of impressionism. The inspiration for my paintings comes from direct observation, photographs, free creation, life and faith in God. My desire as an artist is to create a deep sense of peace within my artwork, not influenced by materialism but to share and express the love I feel within my heart."

    Questo lo statement che fa da status al profilo artistico con cui Ylenia Mino, italian painter, ci

    accoglie nell’eccentrica cornice del Parallax Art Fair, all’82 di Marcer, nel cuore pulsante di Soho.

    Quello che ci attende è un evento nell’evento...

    Sono ben 165 gli artisti provenienti da ogni dove per questa exhibiting art in cui siamo onorati di osservare poliedriche tele, multiformi sculture e variegati disegni...

    Gironzoliamo tra gli statunitensi con tuffi in canvas dai toni decisi...

    Sbirciamo sculture europee che ci ricordano particolari delle capitali di provenienza...

    Ammiriamo disegni ispirati a stili inenarrabili... autentiche poesie del tratto...

    Flash, brindisi e abbracci a non finire tra estimatori, com’è nella tradizione di queste grandi celebrazioni d’arte...

    Davanti ai nostri occhi va in scena una vera concentrazione di eccellenze, mix di qualità creative, è il power of art che qui si respira e “tocca” con mano...

    L’appuntamento per noi di i-Italy è con Ylenia Mino rappresentante d’eccezione per l’arte pittorica del Belpaese.  

    Nella vita della Mino classe ’87 nata ad Ivrea, città storiaca ai piedi delle Alpi italiane, la passion art nel sangue c’è sempre stata, facendo capolino sin dai primi anni di vita, già all’età di 8 anni in cui ogni momento era dedicato al disegno e alla pittura.

    Durante l'infanzia inizia a frequentare corsi privati tenuti da , apprezzato pittore egiziano.

    L’art-maker in erba manifesta uno spiccato interesse per il surrealismo

    La passione per la mi specializzo in pittura ad olio.

    Negli anni seguenti la Mino si concentra sugli studi classici dedicandosi all’approfondimento del greco, latino, della filosofia e storia dell'arte che completano profilo umano e indole caratteriale della Ylenia Mino donna e conducono l’artista avviata a maturazione piena.

    Da pittrice a performer il passo è davvero breve: l’arte a 360° ha da sempre un ruolo preponderante, dilagante, quasi onnipresente nell’animo di Ylenia che pur continuando a studiare pittura, inizia anche ad prediligere la danza...

    Le tele della Mino si snodano sinuose, armoniche ecco “Sunset”, “Waves”, “Morning Wind”...

    Passione ruggente e voglia di mordere la vita ecco gli slanci che danno input continui all’artista regalandole i frutti meritati e trasformandola in una international painter...

    Comincia ad esser attiva negli States e a Manhattan fioccano collaborazioni ed esposizioni nelle grandi gallerie...

    E’ presente alla Carullo Art Gallery, raccogliendo la linfa vitale del Queens...

    Nel marzo 2011 espone come artista emergente all’incantevole Pier 92 sulla 12th Av, riva West sull’Hudson, all'International Artexpo di Hell’s Kitchen. A febbraio ha raccolto gli onori dell’Art Innsbruck, sito nell’omonima cittadinia, e del Parallax Art Fair di Londra.

    Ancora nel marzo 2012 è tornata alla base all'International Artexpo ed ora è presente nell’ambita location di Parallax Art Fair, al 82 di Marcer, nel cuore pulsante di Soho.

    In Italia la Mino vanta esposizioni costellanti lo scorso 2011: è attiva alla Micro Macro, mostra toscana in agosto, collabora con i musei Campionissimi in Liguria in ottobre e si fa apprezzare presso lo  Spazio Arte a Ledinara a novembre.

    Collabora con la Lali Roberts Gallery di San Francisco e con il web magazine Tweet Speak Poetry di New York. Il nome di Ylenia Mino fa bella mostra di sè  nel prestigioso website Art World sito dedicato all’arte, campeggiando fra gli art maker più rinomati.

    Siamo proiettati in un mondo parallelo che l’artista impreziosisce con la sua arte e la sua persona regalando perle di saggezza e di vita... contribuendo ad un universo di bellezza, purezza e distensione dei sensi... che vorremo fosse un po’ anche il nostro...

    Tanti i commenti entusiastici che i-Italy riprende così come trova per dare il giusto tributo a questa giovanissima ma intraprendente artista.

    Ivan Tirado artist,  CT, Usa:

    "Ylenia's artwork invites us to submerge our senses in the sublime new world that opens up in every painting to enjoy a new reality. It is filled with the colors and energy that makes our old world a new one"...

    John Igunma, artist, Niger:

    "Art to Ylenia, from what I can see, is a dream and an expression of love.

    In some artworks she concentrates on the representation of nature and creation. Paintings such as “Sunset, “Waves“ and “Morning Wind“ are simple, straight to the point and carry a powerful message"...

    Youval Halvani, Fine Art Gallery Halvani, Israel:

    "I have seen your artwork, you are gifted with colorful art way, full of amazing atmosphere that you create. What I like is how you leads your color gently and do not let them control.

    Continue with your work. You are on a good track. Artexpo is a must for artists to start to understand the power of art, the influence on our lives. They build a bridge between and among people"...

    Un estimatore italiano:

    "Ylenia, le sue opere mi hanno commosso. Io non capisco molto di tecnica, ma visito musei e mostre ogni volta che ne ho la possibilità e a volte alcuni dipinti mi trasmettono delle emozioni particolari ed i suoi lavori ne trasmettono davvero molte. In particolare non smetterei di guardare il faro.. per non parlare del gioco dei riflessi delle barche e delle sfumature del rosso del tramonto infuocato"...

    E' una scelta notevole quella di accostare il tuo statement artistico-professionale a quello umano-passionale. L'Arte per te è sinonimo di pace, gioia, serenità, veicolo per toccare cuore e anima delle persone. 
E deve essere accessibile a tutti...

    L'arte è per me un tramite per raggiungere psiche e sensibilità delle persone, un “ponte” connettivo “alto” per tramettere distensione, ilarità e benevolenza.

    Questo è il mio obiettivo e desiderio profondo...

    Amo il gusto della bellezza, credo che l'occhio umano possa perdersi nel guardare qualcosa di bello al tal punto che esso emozioni l'anima e tocchi le profondità dell'essere. Amo i colori forti, vivaci, pieni di gioia, ma anche quelli freddi, come il blu, che trasmettono un senso di riposo e pace. Desidero donare, per quanto posso, tanti sprazzi di serenità e gioia alle persone.. tutti abbiamo bisogno di perderci nel guardare un scorcio di cielo, nell'avere nella propria casa un quadro che ci permetta di sognare e di ricevere un concentrato di serenità...

    D'altronde l'arte, dall'antichità ad oggi, e sotto ogni forma, dalla musica, alla danza, alla pittura, è sempre stata una potente alchimia per raggiungere i cuori e le menti delle persone.

    Il mio messaggio è dipingere per elargire gioia e pace...

    Hai studiato e ti sei perfezionata con un maestro d'arte egiziano. Raccontaci questa prima impronta d'internazionalità come è nata...

    
Il mio primo approccio con l’arte pittorica risale all'infanzia. E' stato un incontro spontaneo con ciò che già era presente dentro di me. Ogni pomeriggio dopo la scuola, tornavo a casa e iniziavo a disegnare. Passavo ore e ore completamente immersa in ciò che stavo creando. Tutto questo non passò inosservato ai miei genitori, i quali decisero di cercare una scuola, un insegnate di alto livello che potesse impartirmi lezioni del dipingere e aiutarmi a scoprire e a tirar fuori la mia porzione di talento. E così accadde.

    Mohsen, un maestro egiziano, mi prese sotto le sue ali.  Ricordo ancora la prima cosa che dipinsi, una barca in mezzo al mare. Che ricordi entusiasmanti...  

    Instaurai un rapporto maestro-allievo, proprio come nella migliore tradizione di un tempo. Anche lui ricevette lo stesso tipo di insegnamento e la sua arte, sebbene sia egiziano, è stata fortemente influenzata dalla tradizione francese grazie al suo maestro d'oltralpe.

    Mi insegnò non solo l'arte della pittura, ma ebbi in cambio anche delle grandi lezioni di vita: l'attitudine a non farmi bloccare da paure, a non cedere agli impedimenti, a non perdermi tra ostacoli... Ad affrontare la vita...

    Come definiresti il tuo stile? Più vicino al Surrealismo o all'Impressionismo? C'è una serie di dipinti alla quale sei più affezionata? O che ti ha coinvolto emotivamente di più?

    Come definirei il mio stile? Non posso etichettarlo né come vicino al Surrealismo, né all'Impressionismo. Ci sono elementi che richiamano alcune tematiche del Surrealismo, come l'amore, inteso come fulcro della vita e come la liberazione delle potenzialità immaginative dell'inconscio per il raggiungimento dell’andare “oltre" la realtà. Un obiettivo comune ai miei quadri, è cercare di dare accesso a ciò che sta oltre il visibile, ma certamente il mio stile si distacca molto dalle associazioni tipiche surrealiste di immagini nitide e reali accostate tra di loro senza alcun nesso logico.  

    Ci sono sicuramente elementi che mi avvicinano all'Impressionismo, in quanto alcuni quadri realizzati da me a spatola lasciano “quell'impressione” senza essere curati nel dettaglio; pennellate che trasmettono un'emozione, l'imprimere sulla tela un momento particolare, un'idea, una scena a sè...

    Sono molto affezionata alle opere di Van Gogh, Vermeer, Degas, Hayez, Leonardo Da Vinci, Michelangelo, Policleto, Kandisky, Klimt, Thomas Kinkade.

    Nel processo di creazione, prendo ispirazione dalla realtà che mi circonda, da viaggi, paesaggi, la vita quotidiana, scatti che amo. E fondamentalmente dalla mia fede in Dio, che è fonte pura di ispirazione...

    Sei giovanissima eppure hai già il piglio dell'artista navigata... 
Hai esposto alla Carullo Art Gallery, come artista emergente all'International Artexpo, all’Art Innsbruck, al Parallax Art Fair di Londra ed ora sei alla quinta esposizione newyorkese a Mercer...


    Con le esperienze che hai fatto, quanto sei cresciuta come artista e come donna realizzando esposizioni di così alto spessore artistico?

    Ogni mostra è un'esperienza nuova dalla quale imparo qualcosa e nella quale applico ciò che ho imparato nelle precedenti. Non mi trovo mai di fronte allo stesso pubblico, specialmente in una città  cosmopolita come New York. Il mio primo evento internazionale è stato nel 2011, l'Artexpo New York, tenutosi al Pier 94 e devo dire che ha cambiato completamente la mia vita. L'essere circondata da artisti provenienti da tutto il mondo con stili completamente differenti è stata un arricchimento professionale e umano, ma anche un prendere consapevolezza maggiore di me stessa, come artista e come donna. Il relazionarmi con una platea così variegata come quello di Mahnattan, con i collezionisti, amatori, galleristi e appassionati, ha avuto un impatto notevole sia sulla mia carriera che sulla mia filosofia di vita.

    Anche l'incontro con diversi relatori all'Artexpo, in particolare con Craig K. della Chuck Jones californiana, ha arricchito la mia vita, aperto la mia mente e trasformato la mia vita  artistica. Sono molto fiera anche di tutte le mie esperienze italiane ed europee in generale, ma New York occupa un posto speciale nel mio cuore. Amo stringere connessioni e la Big Apple è certamente la città ideale per incontri e per entrare in contatto con tutte le culture del mondo.

    I miei genitori mi hanno sempre immessa in contesti internazionali, da quello europeo, all'australiano, all'israeliano, all'americano: questo mi ha sempre aiutato ad aprire la mente e a scoprire nuovi orizzonti... Non vedo l'ora di poter esporre ancora in altre nazioni...


    Sei l'artista Cosmopolita per eccellenza, una vera Cittadina del Mondo, esponi sia in Italia che all'estero. Sei attiva a Innsbruck, Londra e New York che sembra averti adottato...

    Come vengono accolte ed apprezzate le tue opere in scorci d'universi artistici così diversi?
     

    Devo dire che ho avuto un riscontro positivo nonostante le diversità culturali. Ogni persona ha gusti differenti, ideali differenti e concetti differenti di arte influenzati molto anche dal contesto culturale nativo. Ma i miei quadri sono stati apprezzati da estimatori provenienti da multiformi backgrounds culturali, sociali e devo dire che molti hanno ricevuto quella pace e quella gioia che voglio donare. Di recente una cliente mi ha scritto, dopo aver acquistato una mia opera, di essere stata toccata così profondamente nell'int dal messaggio del dipinto a tal punto da aver ricevuto uno sprono per superare e vincere una battaglia personale.

    Ogni persona vede qualcosa di diverso nelle mie opere “pace, gioia, serenità, tranquillità o semplicemente un bel paesaggio da appendere” dipende molto dalla disposizione del cuore e dal “taste” personale...

    Ognuno ha le proprie preferenze, ed è capitato e capiterà ancora che la mia arte possa non piacere, ma fa parte del gioco, del percorso...

    New York è caleidoscopica, eclettica e l'artista s'arricchisce, cresce del fascino multietnico. Ci sono aspetti della realtà di vita newyorkesi da cui prendi spunto per la tua arte? Cosa ti ispira della Big Apple? Quali sono gli effetti sulla tua arte?

    Amo l'energia della Big Apple e la libertà che aleggia in questo centro multietnico. La vita intensa della City è uno stimolo per la mia creatività e mi trasmette impulsi sempre nuovi...

    Tu hai studiato e ti sei perfezionata molto nel campo dell'arte pittorica italiana. Eppure esponi molto all'estero. Che differenze/somiglianze ci sono tra l'arte moderna italiana e quella americana?

    Sono italiana... nata, cresciuta e immersa nell'arte, nella cultura e nella storia e questo mi ha influenzata notevolmente...

    Devo dire che con il progresso legato a connessioni pluriformi, gli artisti abbracciano diversi stili e correnti artistiche... Sicuramente l'arte moderna americana è permeata da un senso di internazionalità e di libertà maggiore rispetto a quella italiana, ma devo dire anche che l'arte americana è diventata un forte punto di riferimento e modello per quella italiana.

    Personalmente amo tutti i tipi di arte e cerco sempre di incoraggiare le persone ad inseguire sogni, talenti, desideri insiti nel proprio Dna, che scorrono nel sangue e prendono vita nella mente di ognuno... Sono convinta che tutti noi siamo dotati di talenti unici e speciali, dobbiamo solo farli affiorare, al di là dello stile artistico.

  • Fatti e Storie

    Roma-El Salvador 2-1. Al Red Bulls Arena fa tappa la tournee americana della squadra. E la “magica” c’è

    Tifosi romanisti d’oltreoceano a raccolta per l’appuntamento con la “magica” nello stadio dei Red Bulls (ex Metro Stars), nel New Jersey, nuovissimo e diventato Arena, perché acquistato dalla multinazionale austriaca, per la seconda delle tre amichevoli che la squadra della Capitale del Bel paese ha organizzato negli States. Dopo una manciata di secondi dal fischio di inizio la squadra di Zeman è subito in vantaggio grazie ad un diagonale di destro di Osvaldo su lancio di Burdisso...

    La Roma fa il primo goal dopo appena un minuto e mezzo: il lancio di Burdisso per Osvaldo

    che ubriaca di finte e controfinte Heriques, piazza di destro il diagonale vincente. E’ l’inizio di un’autentica esibizione.

    E’ subito delirio, il tifosi romanisti sono incontenibili: urla, slogan, applausi a pioggia per i beniamini della propria squadra del cuore...

    La prima frazione di gioco prosegue con diverse occasione da rete, per l'11 giallorosso che deve però arrendersi di fronte al muro del portiere Portillo.

    Gli attaccanti con il tecnico di Praga devono solo evitare errori davanti alla porta.

    Di chance ne avranno sempre tante.

    El Salvador quasi si eclissa davanti alle onde giallorosse che non finiscono mai...

    Quindici le occasioni da rete, otto nello specchio della porta, che coinvolgono e trascinano i fan: due volte ci provano Pjanic, Lamela, Florenzi, compresa una traversa, e Osvaldo, spettacolare la rovesciata per il salvataggio sulla linea.

    Tentativi anche di Heinze e Taddei, più un paio di conclusioni di Totti respinte sul più bello.

    Il capitano è in gran forma. Lancia, arretra, difende, inventa, tira e corre come non mai...

    I fan osannano, acclamano tutti i giocatori e il particolare l’idolo, il solo ed unico Capitano che riconoscono...

    Si va all’intervallo con il raccolto dei giallorossi di 1 a 0.

    All’inizio della ripresa, complice la stanchezza, arriva il pareggio dei salvadoregni che vanno a segno con Gutierrez...

    La Roma della seconda parte allenta la presa e soffre rapidità ed estro dei rivali...

    Crisi dell’1 a 1? Neanche a dirlo!

    La “magica” non demorde, travolgente, insistente e caparbia ha fame di reti...

    E, a seguito degli attacchi, a 61' raddoppia grazie ad una rete di Bojan che, entrato al posto di Lamela, inizia l’azione e va anche a concluderla: tocco all’indietro di Marquinho che gli “acchitta” la palla sul destro, in area, per il diagonale del 2 a 1.

    Sigla da maestri e firme di vittoria...

    La partita si riaccende a dieci minuti dal termine con l’espulsione di Tachsidis per una entrata “dura” su un difensore di El Salvador che reagisce al fallo con una testata con conseguente rissa in campo: anche i compagni faticano a fermare i bollenti spiriti del giallorosso.

    Ma anche in dieci la Roma resiste. E vince ancora preservando il conquistato, meritatissimo per 2-1...

    C'è anche un fuori-programma, una invasione di campo pacifica di un tifoso locale, ma ormai i fan romanisti sono in delirio calcistico e il fermo dell’uomo quasi non s’avverte...

    C’è spazio solo per la fede giallorossa che per i fan romanisti d’oltreoceano non conosce confini: anche a 7mila kilometri di distanza dalla Capitale il loro cuore batte solo per la “magica”...

    A margine della partita i-Italy ha partecipato alla conferenza stampa in cui il ct Zeman e Michael Bradley, orgoglio statunitense del New Jersey, hanno risposto alle domande dei giornalisti.

    Secondo il tecnico ceco dal punto di vista tecnico la partita ha avuto risvolti positivi e si è snodata in maniera ottimale, la sua priorità era garantire un tourover per far giocare tutti...

    Continua affermando che i giocatori sono in piena preparazione, ce ne sono alcuni che “reggono bene” la ripresa e chi è più in ritardo con il “tiro” degli allenamenti, l’obiettivo di Zeman è di portare tutti allo stesso livello ed elevarli alla rendita migliore...

    Alla domanda per Bradley sui numerosi impegni assunti in quest’ultimo periodo e sull’eventuale pressione che avverte giocando alla Roma, il fiore all’occhiello della squadra capitolina risponde che vuole “offrire un rendimento all’altezza dei livelli e degli standard dei campioni che hanno militato nella Roma e, - continua - il mio cuore è qui, non vorrei appartenere a nessun altro club, spero solo di riuscirmi ad esprimere al meglio”.

  • Cappella dei Pazzi, Firenze   foto Marinella Paolini
    Arte e Cultura

    Lady Noir a Manhattan. Con Requiem Marta Jovanovic mette in scena il suo funeral party

    Si sa tutte le exhibition nella Big Apple sono uniche in sé, perle rare e caratteristiche. Capaci di suscitare esperienze ed emozioni irripetibili, inimitabili. Fin qui nulla di stravagante. Eppure quella a cui abbiamo assistito al 26 di Greene Street, nel cuore di Soho, sfida qualunque cliché.

    Nella Location one, gallery che si presenta come un “independent, non-profit center for

    artistic experimentation and advanced thinking exhibition space about the arts”, Marta Jovanovic mette letteralmente in scena il proprio funerale.

    O quanto meno quello dell’alter-ego che la identifica questa poliedrica artista. 

    La performer serba, nata a Belgrado, laureatasi presso la Tulane University negli Stati Uniti, vive e lavora tra Roma, Londra e New York.

    Impronta di shining e vero fiore all'occhiello l’iter artistico della Jovanovic l’ha avuto negli anni dello studio delle belle arti e del Rinascimento, a Firenze, frequentando la Scuola Lorenzo dei Medici, preziosa per comprendere i canoni della bellezza e la loro relatività. 

    I lavori provocatori di Marta Jovanovic, attiva su Europa e Stati Uniti, sono di stanza nella Big Apple dove la maker art fa parlare di sé con Shoot Me!, performance nella Location One.
    Studio Marina Abramovic già nel Novembre 2010 e prendono il volo nel suo paese natio dove ha un'installazione LoveFortuneTruth permanente nel giardino del Museum of Yugoslav History.

    Nel frattenpo fioccano collaborazioni con curatori apprezzati come Achille Bonito Oliva e Jovana Stokic in spazi del calibro del Museo Pietro Canonica e il Museo della Civiltà Romana nella Capitale del Belpaese. Nel 2012, Jovanovic riceve il premio Roma Capitale dalla Città di Roma, per gli alti risultati artistici nella reppresentazione della culture serba in Italia. 

    La Jovanovic è reppresentata dalla BOSI Artes Gallery a Roma, e dalla gemella Bosi Contemporary a Manhattan, galleria grazie alla quale è stato possibile mettere in scena Requiem in cui la performer reclama un posto per le donne nel “pantheon”, tradizionalmente maschile.
    In questa performance funeraria, la Jovanovic crea una finta veglia, posizionando simbolicamete se stessa dentro la cappella dei Pazzi, nella chiesa francescana di Santa Croce, a Firenze, conosciuta come il Tempio delle Glorie Italiane, dove le tombe di grandi artisti, scrittori, architetti, e la maggior parte dei pensatori umanisti dell'epoca, come Michelangelo Buonarotti, Dante Alighieri, Nicolò Machiavelli, Filippo Brunelleschi, sono sepolti.

    In questa cornice più unica che rara l'art maker, grazie agli scatti di Marinella Paolini, ha ricreato istanti alquanto particolari nelle esistenze di ognuno...

    Ha provveduto a plasmare, modellare, dar vita ad un corpo somigliante in maniera impressionante al proprio...

    Da cotanta verosimiglianza di scene, il tutto ha l’impatto forgorante di suscitare negli spettatori emozioni, vere, reali, autentiche per omaggiare una morte in realtà mai avvenuta...

    Le luci soffuse s’abbassano, il vociferare dei presenti s’affievolisce, musiche dai toni carichi inebriano la sala, aleggia suggestione nell’aria ed ecco che una delle scene che più scuotono ognuno, prende vita davanti ai nostri occhi: una Marta Jovanovic, dal volto disteso, circondata da gigli, nella cornice di una ricreata cappella dei Pazzi di Santa Croce a Firenze, giace vestita a lutto e deposta in una bara.

    Sfilano i volti di coloro che nell’immaginario dell’artist devono essere i conoscenti venuti a renderle omaggio: donne e uomini, forse parenti o amici, depongono fiori, le sfiorano il corpo statuario, la baciano per l’estremo saluto...

    Colpisce che, nell’immaginario del mesto nel quale siamo abituati a vivere queste cerimonie, il tutto avvenga in un contest caratteristico: s’avverte ilarità tra musiche di Chopen, cicaleccio di gente che parlotta, schiamazzi quasi...

    L’interrogativo che vien da porsi è: “Che sia un funeral party, sinonimo di vita, mirror of life?”, non v’è nulla infatti della tristezza funerea della morte...

    L’exhibition continua a snodarsi sotto i nostri occhi... L’andirivieni di persone ora lascia spazio all’incontro impossibile, che con la performer invece diventa reale, quello con se stessa...

    Marta Jovanovic sistema l’abito, olia i piedi, deterge il decoltè del suo alter-ego defunto...

    Pettina i capelli, spazzola il vestito e bacia la riproduzione della propria persona...

    La performer lascia toccare e tocca a sua volta le “proprie spoglie”...

    L’artista interviene a più riprese interagendo con il suo io: è la rottura di paure, ansie, subordinazioni alla vita e alla morte con la quale si può allora dialogare, quasi in senso tattile.

    Liberazioni, più in generale, da sorte di taboo di ogni tipo...

    Con verve e sense of humor, la Jovanovic si esprime sull'uguaglianaza dei sessi, proibita dalla Chiesa sin dall'epoca rinascimentale come sito per la nascita dell'umanismo, dell'individualità degli artisti e il mecenatismo. Il progetto per la performance della Jovanovic, pur visionato per esser situata nella cappella dei Pazzi, è stato respinto dalla Chiesa perchè giudicato "non consono" ad essere realizzato nel locali eclesiastici.

    L'exhibition termina, la veglia s’interrompe come era iniziata...

    Sprazzi di suggestione si fondono in un mix d’armonia pura che lascia spazio alla pace dei sensi, alla pacatezza dell’anima, ad un intreccio surreale eppur possibile tra due dimensioni l'essere e il non essere che diventano una sola...

    Nella commozione generale ci siamo avvicinati all’artist richiedendole un’intervista, che la Jovanovic ha gentilmente concesso.


    E' una scelta forte inscenare il proprio funerale. Qual è il significato di questa performance così singolare nel suo genere? Che cosa ti ha ispirato Requiem, ovvero da cosa hai preso spunto per la messa in scena?

    Nella chiesa di Santa Croce a Firenze ci sono le tombe di Michelangelo, Machiavelli, Brunelleschi e tutti i grandi del tempo...

    Io volevo creare il mio funerale nella Capella Pazzi e, figurativamente, essere sepolta accanto a loro non come Marta Jovanovic ma come un’ artista performer. La mia intenzione era di mostrare l’importanza della Performance Art e di raccontare come la stessa, anche se non la si puo vendere o comprare, ha lo stesso peso di un quadro o di una scultura di marmo... 

    Mi spiace che non sia stato possibile realizzare la mia performance nella Chiesa di Santa Croce poichè non ne ho ricevuto l’autorizzazione. Non mi sono di certo scoraggiata e nel magnifico spazio di Location One a Soho, New York, abbiamo messo in scena la performance inizialmente pensata per la cornice della Capella Pazzi.

    Nell'exhibition la tua non è solo una parte passiva, ma intervieni a più riprese: sistemi l'abito, sfiori il corpo, detergi il volto sul tuo alter-ego... Anche le altre persone si fermano a rendere omaggio, a dare l'estremo saluto alla Marta Jovanovic distesa... 

    Che significato hanno entrambe le tue parti, il tuo io passato a miglior vita e quella che interviene in Requiem attraverso il tuo interagire con la te stessa defunta?

    E gli altri, amici conoscenti parenti, che ruolo giocano?

    Come ho gia menzionato, non si tratta di me stessa, di Marta Jovanovic, si tratta di una “female performance artist” che chiede il suo posto nel Pantheon dei grandi della storia dell’arte occupato per la maggiore da appartenenti alla sfera maschile. Il mezzo di comunicazione per un performance artist è il corpo e io ho creato la coppia identica del mio corpo in silicone e ho ottenuto una similarità spaventosa, un iperrealismo in terza dimensione che mi ha aiutato ad ottenere un così forte effetto di “mirroring”. L’idea nasce dal significato di una tomba: le tombe esistono per mantenere viva per sempre la memoria del defunto. Anche se, come nel caso di Michelangelo a Santa Croce, la tomba è “vuota” il corpo sta da altra parte. La copia del mio corpo in silicone è, in un certo senso, paragonabile alla tomba finta.

    La partecipazione del pubblico non era programmata! Abbiamo chiesto sull’invito una tenuta formale per mantenere l’atmosfera e francamente ero molto sorpresa quando le persone si sono presentate portando i fiori e una signora ha pianto a voce alta mentre altri hanno partecipato in altri modi. Questa è la bellezza della Performance Art, non sai mai dove ti può portare l’emozione!

    La cornice di Requiem inscena un'aria funesta: il tuo alter ego è vestito a lutto, è disteso in posizione inequivocabile, i gigli deposti denotano omaggi floreali tipici per omaggiare i defunti... Eppure le liriche ad alto volume, il cicaleccio della folla e l'andirivieni continuo di performer nella scena danno un senso d'intensità, di efflato vitale, quasi di brio... E' voluto questo contrasto? Una sorta di gioco-forza morte-vita sono l'uno lo specchio dell'altro, s'intrecciano di continuo, si fondono quasi?

    Assoluttamente sì! Per me è stato un lutto non poter fare la performance a Santa Croce. Allo stesso tempo, si è accumulata intensità nel processo creativo. Performance Art è una lotta costante fra la vita e la morte perchè è effimera, è un’emozione breve e sai che da un momento all’altro va a morire, come una farfalla. Non si tratta di un quadro appeso in un museo o una galleria e puoi andare a vederlo quando si vuole. Concepisco la Performance Art, come sinonimo di arte legata all’istante, al momento, in cui si colglie al volo l’attimo unico e irripetibile... 

    Se non ci sei in quel momento, l’hai perso, non lo vedrai mai più, quantomeno non in quella forma, in quella dimensione o in quel contesto spazio temporale...

    Anche la documentazione secondo me non può mai avere l’intensità del momento dal vivo... Invece se ci sei, non sai mai che cosa succederà e quale impatto lascierà...

    L'exhibition è ambientata all'interno della cappella dei Pazzi, nella chiesa di Santa Croce a Firenze. Particolarità nella particolarità... Da cosa è dipesa questa scelta di fiction-location tutta italiana?

    L’idea per questa performance nasce in Italia, a Firenze dove ho studiato e vissuto. Il concetto è stato elaborato insieme al curatore romano Simone Verde. La città dei Medici nel Rinascimento diviene patria della figura dell’artista cosi come l’avvertiamo oggi, con l’appoggio di cultori, estimatori, autentici mecenati. Come performance artist, ancora oggi mi succede che mi domandino che tipo di arte è quella che la Performance Art anche se nelle sue varie forme questa esiste dal Futurismo, è ancora poco conosciuta. 

    A New York, dopo la mostra blockbuster di Marina Abramovic a MoMA, la Performance Art sta diventando quasi mainstream...

    Sei l'artista Cosmopolita per eccellenza, una vera Cittadina del Mondo, esponi in Serbia, la tua terra natale, sei attiva a Roma, Londra e New York che sembrano averti adottato... 

    Come vengono accolte ed apprezzate le tue opere in scorci d'universi artistici così diversi?

    Cerco di usare un linguaggio universale e come dicono gli Americani: I wouldn’t have it any other way!

    New York è caleidoscopica, eclettica e l'artista s'arricchisce, cresce del fascino multietnico. Ci sono aspetti della realtà di vita newyorkesi da cui prendi spunto per la tua arte? Cosa ti ispira della Big Apple? Quali sono gli effetti sulla tua arte?

    New York è una giostra frenetica che non ti lascia respirare! Qui mi sento a casa perchè l’arte che faccio è a casa, non devo spiegare e giustificarmi. La Big Apple è per me una specie di afrodisiaco della vita e della creazione, basta che vedo le sue luci atterrando al JFK e mi sento tranquilla, so che sono arrivata a casa!

    Tu hai studiato nella scuola Lorenzo dei Medici a Firenze, collaborato con il Museo Pietro Canonica e con il Museo della Civiltà Romana nella città Eterna, ricevendo anche un premio dalla città di Roma nel 2012 per le tue qualità artistiche...
    Che differenze/somiglianze ci sono tra l'arte moderna italiana e quella americana?

    Gli States e l’Italia sono mondi completamente diversi. Il primi sono un paese che ha il presidente di colore e dove il matrimonio gay sta diventando una normalità all’ordine del giorno, penso che questi fatti dimostrano che si tratta di un mondo che guarda avanti e questo si riflette su tutte le sfaccettature della vita, del lavoro, dei rapporti sociali...

    Sono coinvolta quasi sentimentalmente col Belpaese: adoro l’Italia, la sua storia, l’arte, cibo, paesaggi, persone ma per me è difficilissimo lavorarvi...

    Secondo me l’arte contemporanea non esiste ancora in Italia, altrimenti Maurizio Cattelan, e con lui tantissimi altri artisti della scena italiana che stanno scrivendo la storia dell’arte, non lavorerebbero a New York, come invece fanno. 

    Ritengo che questo sia un vero peccato...

  • Fatti e Storie

    Un ghost writer italiano a Manhattan. Cronache di misteri, lobby power e congiure d'intelligenze tra suspance italo-newyorkesi

    Intrighi internazionali, guerre tra lobby, intrecci di poteri forti...

    Uno stralcio d’Italia e d’America noir sono andati in scena nella splendida location del White and Church, lounge bar del Tribeca, dove tutto questo e molto altro ha incentivato la platea italo-newyorkese ad interrogarsi su stragi e mandanti, omicidi e misteri, depistaggi e manovre di servizi segreti di cui il ghost writer Alessandro Bartolomeoli riempie le pagine di “Cui Prodest?” e “Nell’ombra della notte”, suoi due romanzi, ambientati a cavallo tra il Belpaese e New York.

    Suspense già si taglia con il coltello all’ingresso del locale, quasi a suggerire ai presenti  che l’atmosphere è assicurata...

    L’evento, organizzato dalla OpenGatepublic relations agency di Gianfrancesco Mottola, viene anticipato dal lancio di un video introduttivo sull’autore, i testi e le numerose ricerche di documentazione condotte dalle stesso Bartolomeoli per realizzarli.

    Nato e cresciuto a Fossombrone, in provincia di Pesaro-Urbino, il 35enne scrittore si occupa da sempre di letteratura: dopo una lunga carriera di “ghost writer”, nel 2009 ha deciso di scrivere romanzi propri. Bartolomeoli dialoga con la storia attraverso analisi di fonti attendibili, verificate e sperimentate che poi mette al servizio della sua scrittura.

    Al kick off segue l’intervista dell’autore con la scrittrice e blogger americana Annie Shapero che ha spiegato ed introdotto ambientazioni, periodi storici e ricostruzioni verosimili riguardo i delitti del mostro di Firenze, argomentati in "Cui Prodest?" e contestualizzato i poteri sovversivi occulti made in Usa del secondo romanzo, "L’ombra della notte", basati su attente analisi investigative, facenti da corona ai due thrillers.

    Il risultato è un avvincente botta e risposta con Bartolomeoli che ha risposto ai perché postigli dalla Shapero portando virtualmente in sala il lavoro d’istruzione d’indagini condotto per Cui Prodest? e facendo toccare con mano le ricerche su lobby farmaceutiche e servizi d’intelligenze per Nell’ombra della notte, sapendo infittire ancor più gli intrighi di cui sono infarcite le sue opere.

    Bartolomeoli non è nuovo a teorie sul complotto: il suo primo libro Cui Prodest? è scritto dopo due anni di ricerche e studi effettuati tra l'Italia e la Francia, a Rennes le Chateau, paesino situato ai piedi dei Pirenei, nella regione sud-occidentale.
    Il ghost writer, per la stesura del romanzo, ha collaborato con l'artista Alain Feral, nipote di Jean Cocteau, nel quale racconta la storia della Rosa Rossa, un'organizzazione esoterica tra le più potenti al mondo, con origini antichissime. Secondo l'autore i primi delitti seriali, la strategia della tensione e le vittime del mostro di Firenze possono essere ricondotte alla mano omicida di quest'unica setta. Bartolomeoli vede infatti connessioni dirette tra stragi e tensioni potenzialmente riconducibili agli stessi mandanti, i cui contatti provengono alle stesse fonti.

    Il passaggio al secondo romanzo ambientato negli States è una tappa obbligata...

    Microchip, morti misteriose, lotte intestine tra gruppi farmaceutici: il potere delle massonerie si annida dietro attentati americani, preceduti da omicidi per depistare mandanti e ragioni reali delle stragi, per il dominio del mondo.
    Un reparto dei servizi segreti militari, il gruppo Bildeberg e le potenti nazionali del farmaco americano: protagonista indiscusso de Nell'ombra della notte, seconda opera dello scrittore marchigiano, è il complotto.
    Scienziati del genoma umano tutti morti dopo l’11 settembre a seguito di incidenti sospetti riconducibili o collegati in qualche modo a potenti società finanziarie di copertura, finalizzate alla creazione di armi di distruzione di massa che non facessero rumore, realizzate e diffuse in sordina... davvero un melting pot of conspiracy...

    Questi gli intrecci in cui già nelle prime pagine de Nell’ombra della notte, il lettore incontra i protagonisti principali: Paul Osborne, braccio destro del presidente degli Stati Uniti e probabile candidato alla Casa Bianca, sua moglie Mary, a capo di una delle più importanti industrie farmaceutiche, la “Hildemberg Pharm Company” e il tenente Wilson, della polizia di New York, coinvolti in una serie di morti misteriose collegate alla storia di un uomo che ha completamente perso la memoria.

    Standing ovation per Bartolomeoli che conquista ed infervora la platea...

    Dalla Shapero, il fil rouge della serata tutta condita di noir, si snoda verso i numerosi italo-newyorkesi presenti in sala...

    Domande, curiosità, input personali di investigatori provetti danno vita a dialoghi fulminei con l’autore, animando la scena: “I delitti del mostro di Firenze sono stati orchestrati da un solo uomo? Pacciani era forse solo una copertura? Chi erano i reali mandanti?”, sono andate per la maggiore riguardo Cui Prodest?, rivelando una conoscenza non indifferente per la realtà storica italiana...

    Intervallate a quesiti che incalzano l’autore per Nell’ombra della notte: “Quali poteri occulti si nascondono dietro le lobby farmaceutiche americane? Queste dominano davvero incontrollate istituzioni e ambiti economici? Omicidi e stragi anche qui negli States sono funzionali a sviare l’attenzione sui complotti di servizi segreti internazionali?”, dimostrano il livello di un target consapevole delle dinamiche legate all’intelligenze che ci corcondano...

    Dalla rilevanza delle interrogazioni capiamo che la platea è interessata oltre ai due thrillers in , anche ai temi di calda attualità che non conoscono barriere geografiche di sorta ed uniscono Italia e Stati Uniti più che mai...

    L’apice della serata si raggiunge poi con una nota d’eccellenza...

    Il momento, già unico di suo, si impreziosisce ancor più con le rivelazioni di Alessandro Bartolomeoli basate sulla trasformazione de Nell’ombra della notte in un movie le cui riprese inizieranno il prossimo anno a Los Angeles, ambientato fra New York e la Florida, di cui l’unica anticipazione è che il produttore e direttore sarà Loris Rossi, già attivo in serie di rilievo nel panorama italiano del calibro di Un posto al sole e La Squadra.

    Cosa c’è di più di coronare il successo del proprio thriller book traendone un film?

    La platea ipnotizzata dall’escalation di fatti, eventi, connessioni potenzialmente verosimili, potrà, oltre che sbizarrirsi in letture varie, anche deliziarsi con un movie targato Usa...

    A lettori e spettatori l'ardua sentenza finale...

    Durante la serata i-Italy si è ritagliata un momento per chiedere al ghost writer un’intervista che Bartolomeoli ha gentilmente concesso.

    I tuoi romanzi si forgiano più di documentazione storica o d'intuizione, insight creativo? Quale aspetto prevale?
     
    Spiccano entrambi. Ovviamente la ricerca è davvero rilevante quando si affrontano certi argomenti e non ci si può permettere di tralasciare niente: proprio perché i temi sono importanti che è necessario indagare. Alle ricerche d'indagine deve poi seguire l'intuizione.

    Per me è basilare far emergere ciò che è nascosto dietro i dettagli.
     
    Sia in Cui prodest? che Nell'ombra della notte spicca il tuo ghost writer style. Alessandro, la tua scrittura investigativa riflette misteri da far riaffiorare o ti senti un interprete degli accadimenti circostanti?

    Sia in Cui Prodest? sia Nell'ombra della notte il mio desiderio era quello di far suscitare nei lettori dubbi, interrogativi, sete di verità. Ricerca serrata della realtà. L'esistenza di sfumature nascoste, non svelate, che nessuno palesa, ma che intuiamo, mostra che nel nostro profondo, percepiamo che esistono, le cogliamo.

    Ricordo la frase di una persona che incontrai qualche anno fa: "La Storia è quella che leggiamo dai giornali. La realtà è quella che creiamo noi"...
     
    Nei tuoi romanzi hai viaggiato molto, spaziando dal paesino di Rennes le Chateau in Francia, alla splendida Firenze nel primo libro e toccando culture molto differenti ambientando il secondo nella Big Apple. Eppure il protagonista della tua scrittura sembra essere uno in particolare: il complotto.
    Intrighi rompicapo, intrecci di poteri politici, lobby tentacolari sono la base delle tue opere. Perché? Quale è elemento più importante dal quale prendi ispirazione?

    La mia unica ispirazione è la ricerca della verità. Per quanto riguarda gli intrighi, giochi di potere, trame e cospirazioni sono solo espedienti per descrivere realtà poco conosciute, inedite...
     
    In Nell'ombra della notte il tuo romanzo rompe con la linearità del mood italiano, interpretando realtà a tinte forti e noir della City. Il tuo scritto è uno specchio della società statunitense?

    In un certo senso si. Non a caso il libro è ambientato negli Usa. Qui ci sono poteri trasversali molto forti e non mi riferisco alla solita Skull & Bones oppure alla commissione Trilaterale. Il mondo occidentale capeggiato dagli States sta cercando in tutti i modi di creare un ordine mondiale tecnocratico che ha la pretesa di omologare tutte le culture, di asservirle ad un solo stile di vita, di sacrificarle all'oscura teologia di un élite di illuminati.

    Si sacrificano i poveri del pianeta a questi padroni del mondo.
     
    New York è caleidoscopica, eclettica e l'artista s'arricchisce, cresce del fascino multietnico. Ci sono aspetti della realtà di vita newyorkesi da cui prendi spunto per la tua arte? Cosa ti ispira della Big Apple? Quali sono gli effetti sulla tua scrittura?

    La gente di New York ha una gran luce negli occhi. Questo è ciò che mi ha ispirato quando ho pensato ai protagonisti di Nell'ombra della notte.
     
    Tu hai già alle spalle due romanzi e sei uno scrittore navigato di saggi ed articoli culturali. Che differenze/somiglianze ci sono tra la scrittura moderna italiana e quella americana?

    A parte i vecchi mostri sacri nel panorama italiano non ci sono autori di rilievo. Anche lo stile si assomiglia troppo tra i vari autori. E sono in pochi a dire qualcosa che possa incidere nella società. Fra gli statunitensi Chuck Palahniuk è il primo che mi viene in mente.
    Bello stile e bei contenuti anche se all'apparenza possono sembrare folli... deve esser un bel tipo...
     
    Durante il talk hai fatto riferimento al film in progetto su Nell'ombra della notte dicendo che si girerà a Los Angeles. Dacci qualche anticipazione piccante...  
    Che effetto ti fa, da scrittore e da spettatore, pensare che un tuo romanzo diverrà un movie in piena regola?

    Sul film purtroppo non posso dire molto anche se vorrei. In questo caso non dipende da me. Il mio sogno è che il film contribuisca a far scricchiolare l'attuale sistema politico ed economico e a scuotere le coscienze...

  • Fatti e Storie

    La strage di via D’Amelio 20 anni dopo. L’ombra della trattativa stato-mafia sulla morte del giudice Borsellino

    L’incandescente estate del 1992 ebbe inizio molto prima del 19 luglio, giorno dell’attentato in via D’Amelio in cui morirono Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta, con l’omicidio del deputato Salvo Lima a marzo e con l'uccisione del giudice Giovanni Falcone nella strage di Capaci il 23 maggio, lungo l’autostrada Punta Raisi Palermo.

    Le vicende di quegli anni, relative agli attentati di Falcone e Borsellino e alle successive bombe del '92 e '93 di Milano, Firenze e Roma, sono state più volte oggetto di indagini che hanno coinvolto diversi personaggi tra cui Vito Ciancimino, Totò Riina, Bernardo Provenzano e alcuni ufficiali facenti parte del Ros dei Carabinieri che avrebbero intentato una trattativa con i vertici di Cosa nostra per fermare l'ondata di terrore come indicato nel cosiddetto "papello", il presunto documento su cui venirono riportati i termini della stessa.

    Negli anni successivi però, dopo numerose sentenze di condanna, alcuni pentiti di mafia hanno rilasciato dichiarazioni tali da mettere in dubbio la versione originaria dei fatti, ipotizzando un coinvolgimento di pubblici ufficiali dello Stato in una trattativa con Cosa nostra. Ovviamente la magistratura sta cercando di approfondire tali dichiarazioni che potrebbero essere solo un diversivo nella strategia di difesa dei boss mafiosi.

    E’ necessario tornare ancora indietro al 16 marzo del 1992, quando l’allora capo della polizia Vincenzo Parisi, in seguito alle proprie indagini, emise un comunicato, che allertava sulla possibilità di attentati e omicidi politici.

    Nel 1992, dopo la strage di Capaci, il capitano del Ros, raggruppamento speciale operativo, Giuseppe De Donno, come egli stesso ha dichiarato, incontrò Liliana Ferraro, direttore del Ministero di Grazia e Giustizia e le parlò dei contatti con Ciancimino, ex sindaco di Palermo, legato al clan dei Corleonesi. La Ferraro avrebbe riferito al suo diretto superiore, Claudio Martelli, all'epoca Ministro di Grazia e Giustizia, il quale chiese a Nicola Mancino, Ministro dell'Interno, come fosse possibile che alcuni uomini del Ros, avessero preso l'iniziativa di contattare tramite Vito Ciancimino, i boss mafiosi, scavalcando la Dia, dipartimento investigativo antimafia, istituzionalmente competente per qualsiasi azione contro la mafia.

    Nel 2009, in relazione a tale vicenda, sono stati ascoltati come testimoni anche i politici Nicola Mancino, che ha dichiarato di non averne mai saputo nulla e Luciano Violante, che invece ammise di essere venuto a conoscenza del dialogo tra il Ros e Ciancimino.

    Secondo le dichiarazioni rilasciate da Massimo Ciancimino, figlio dell'ex-sindaco di Palermo Vito, la presunta trattativa, avviata da Totò Riina e Bernardo Provenzano all'inizio degli anni '90, sarebbe proseguita almeno fino al 2000, con l'aggiunta della partecipazione dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano e avrebbe avuto inizialmente due fasi distinte, prima e dopo le stragi che hanno ucciso Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

    Tale trattativa sarebbe stata siglata con il cosiddetto papello, un documento contenente presunti tentativi di accordo tra elementi di Cosa nostra e pubblici ufficiali dello Stato italiano agli inizi degli anni novanta, che avrebbero dovuto essere soddisfatti per evitare la prosecuzione delle stragi di mafia.

    Il contenuto del "papello", le volontà di Cosa nostra, allora comandata dallo stesso Riina, passò attraverso le mani di Vito Ciancimino allo Stato, attraverso dodici richieste: revisione della sentenza del maxi-processo dell’85; annullamento del decreto legge 41 bis; revisione della legge Rognoni-La Torre sul reato di associazione mafiosa; riforma della legge sui pentiti; riconoscimento dei benefici dissociati per i condannati per mafia; arresti domiciliari dopo i 70 anni di età; chiusura delle super-carceri; carcerazione vicino alle case dei familiari; nessuna censura sulla posta dei familiari; misure di prevenzione e rapporto con i familiari; arresto solo in flagranza di reato; defiscalizzazione della benzina in Sicilia.

    Al primo elenco di richieste, prodotte direttamente da Cosa nostra, ne venne allegato un altro, l’annullamento del decreto legge 41 bis, che prevede il "carcere duro" per alcune categorie di crimini, tra cui la criminalità organizzata.

    L'indagine sulla trattativa Stato mafia ha posto l'attenzione su episodi che riguardano circa trecento provvedimenti giudiziari di carcere duro lasciati scadere nel ‘93, come ha dichiarato l’ex ministro della Giustizia Giovanni Conso. Fu revocato l'isolamento a Totò Riina. Inoltre ha coinvolto alcune persone che hanno cercato di modificare l'articolo 41 bis o che hanno avuto a che fare con l'articolo. Calogero Mannino, indagato per la trattativa, ha ricevuto un avviso di garanzia in cui "si parla genericamente di "pressioni" che Mannino avrebbe esercitato su "appartenenti alle istituzioni", sulla "tematica del 41 bis", il carcere duro che i capimafia "cercavano di far revocare".

    Il 20 ottobre 2009 l'ex colonnello dei Ros, Mario Mori, imputato per favoreggiamento aggravato di Cosa nostra, ha dichiarato al tribunale di Palermo che non ci fu nessuna trattativa tra la mafia e lo Stato, e in una intervista successiva, Mori ha smentito di aver mai ricevuto dalle mani di Massimo Ciancimino, né di nessun altro, il presunto Papello, preannunciando azioni legali in merito.

    I misteri della presunta trattativa s’infittiscono se sommati ai tanti depistaggi orchestrati negli anni per sviare le indagini sui mandanti della strage di via D’Amelio, dei quali sono stati accusati per calunnia Arnaldo La Barbera, deceduto nel 2002 e altri tre funzionari: Mario Bo, Salvatore La Barbera, Vincenzo Ricciardi.

    Tutti sospettati di aver messo su una "Guantanamo d’Italia”, nei confronti di Vincenzo Scarantino e altri due falsi pentiti, Salvatore Candura e Francesco Andriotta, i poliziotti usarono crudeltà e violenze per far confessare retroscena di massacri mai compiuti. Dopo tanti anni s'indaga ancora su quelle torture ma non c'è certezza sui personaggi implicati: da una parte le confessioni di “pentiti” costruite "a tavolino", dall'altra la difesa di poliziotti che negano tutto.

    Nelle parole di Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso, l'indignazione aumenta ancora di più quando viene menzionata l'agenda rossa fatta scomparire dall'auto ancora fumante di Paolo. Ma chi ha fatto sparire l'agenda del Procuratore negli attimi fatali e concitatissimi del post-attentato? "Sicuramente non la mafia, almeno non direttamente senza complicità istituzionali. Chi ha rubato l'agenda rossa fa parte di quei servizi che chiamano deviati, ma che deviati non sono perché hanno sempre agito in maniera mirata. Un attimo dopo l'esplosione c'era già qualcuno pronto in via D'Amelio a prelevare quella borsa e fare sparire l'agenda che -prosegue Borsellino- rappresenta una pietra tombale messa sulla giustizia".

    Divampano le polemiche in questa vigilia del ventennale della morte di Borsellino, facendo intervenire anche il Capo dello Stato, sceso in campo contro la Procura di Palermo.

    Il Presidente Napolitano sostiene che l’ufficio della magistratura avrebbe dovuto bloccare le registrazioni dei suoi dialoghi con Nicola Mancino, ex presidente del Csm, Consiglio Superiore della Magistratura: contrapposta la tesi delle toghe siciliane secondo le quali le intercettazioni potevano andare avanti, essere trascritte e distrutte solo quando il Gip e le parti ne avressero preso posizione e deciso che potevano essere eliminate.

    La questione è articolata perchè vede Capo dello Stato in attrito con la Procura di Palermo, ufficio all’avanguardia per la lotta alla mafia. E’ di difficile “gestione” perchè i protagonisti al telefono sono Nicola Mancino, vice-presidente della magistratura, già ministro dell’Interno, e l’inquilino del Colle. E’ dura per il tema in discussione, la presunta trattativa Stato-mafia.

    E’ complessa per il tema delle intercettazioni, s’intende per “diretta” quella tra destinatario “primo”, il soggetto interessato e il suo interlocutore, mentre “indiretta” nel caso di persona “prima” sulla quale vertono le indagini e l’interlocutore che finisce casualmente nell’intercettazione, ovvero non come oggetto del provvedimento giudiziario, non in qualità d’intestario della registrazione. In questo caso era Mancino ad esser protagonista dell’intercettazione, mentre Napolitano era oggetto di intercettazione indiretta.

    Ecco il nodo di questi giorni che in Italia surriscaldano il clima già acceso delle celebrazioni per il ventennale in onore di Borsellino: la procura di Palermo sostiene che nel caso di una intercettazione indiretta non vale la regola del blocco della stessa, ovvero si può avviare senza necessità di autorizzazione da parte della Corte costituzionale. Diverso il punto di vista di Napolitano che ha deciso di ricorrere alla Consulta.

  • Arte e Cultura

    Schiaparelli and Prada: "Impossible Conversations" al Met

    Cosa avranno mai da dirsi Elsa Schiaparelli, e Miuccia Prada? Quali chiacchiere potrebbe mai intavolare queste due stiliste entrambe italiane, così geniali ed innovative eppure storicamente così lontane? Che cosa può accomunare una rivoluzionaria couturier che negli anni '30 e '40 collaborò con i surrealisti del calibro di Dalì e vestì, tra le tante, la Duchessa di Windsor, Millicent Rogers e Joan Crawford, e l’attuale regina del prêt-à-porter amatissima, oltre che da star del firmamento hollywoodiano, anche da galleriste e sofisticate intellettuali?

    Le risposte ai mille perchè che frullano nella testa dei fashion-fan saranno svelate in quello che si appresta a divenire l’evento moda dell’anno, la Schiaparelli and Prada: Impossible Conversations, di stanza al Metropolitan Museum of Art di New York.

    L’exhibition, organizzata dal Costume Institute, inaugurata il 10 maggio e aperta al grande pubblico fino al 19 agosto, è ispirata alle Impossible Interviews pubblicate da Vanity Fair negli anni '30 e che qui sono frasi estrapolate da Shocking Life, l'autobiografia di Schiap, giustapposte a quelle di Miuccia.

    “Schiaparelli and Prada: impossible conversation”, è un'esibizione che accosta, in un dialogo tanto fertile quanto impossibile, le due stiliste italiane. Separate dal tempo della storia, ma unite nello spirito con cui hanno rivoluzionato il mondo della moda, Prada e Schiaparelli, si incontrano, tra le sale del Met, per un confronto immaginario, dove a far rivivere la stilista romana, scomparsa nel 1973, è l'attrice australiana Judy Davis, che divide la scena con Miuccia Prada.

    Entrando nella galleria adibita del Metropolitan sfiliamo attraverso questa video-intervista anacronistica...

    L’installazione, realizzata dal visionario del cinema Nathan Crowley, è una serie di ambienti che ritmano con diversi colori e materiali - lacca near, lacca bianca, lacca rossa fino al fantasmagorico gioco di specchi e di teche di plexiglass, e firmata dal filmmaker Baz Luhrmann, autore, tra gli altri, di "Mouline Rouge!", consta di 7 sezioni intorno alle quali ruota la rassegna: Waist Up, Waist Down (a cui si affianca una sotto-sezione chiamata Neck Up, Knees Down), Ugly Chic, Hard Chic, Naïf Chic, The Classical Body, The Exotic Body, the Surreal Body.

    Veniamo proiettati in una carrellata di abiti da sera, scarpe, cappelli, accessori che sconfinano nel prezioso e sono degli autentici gioielli in sè...

    Oltre ai sontuosi indumenti, sono le conversazioni tra le due regine del fashion-design le chicche della mostra...

    Dietro paramenti chic e scintillanti, Prada asserisce come sia “difficile o impossibile” parlare di moda nel momento attuale, vista la crisi economica che attanaglia gli acquirenti e impone di tagliare sul superfluo, se non farlo con i stretti appassionati, senza però rischiare di esser troppo tecnici, mentre Schiaparelli risponde che nella sua epoca occuparsi di moda era un must, un cenno inequivocabile d’eleganza e, per questo, una nota di rilievo nella società.

    Ci muoviamo tra giacche ricamate con i segni dello Zodiaco di Schiaparelli e gonne incostratate di gocce iridescenti di Prada...

    E’ ancora Miuccia a parlare nel dire che oggi ci si deve muovere in un open-world perchè ricco di lingue, culture, razze, religioni e l’universo femminile è la linfa vitale che anima tutto...

    Negli occhi delle donne, Prada vede riflesse le loro esigenze, s’accendono passioni, sprizzano intelligenza e suscitano sorpresa...

    Schiaparelli concorda con la collega, affermando ha apprezzato forza e tenacia nelle donne della sua epoca, ma è anche incuriosita da ciò che il “futuro” ha riservato loro....

    Il peregrinare di i-Italy nella galleria del Met è costellato di tappe nel firmamento delle due stiliste: incantano gli abiti da dea greca di Elsa e quelli plissettati e grondanti pietre di Miuccia...

    Prada interviene sulla necessità di decostruire i cliches della bellezza a tutti i costi, la perfezione ossessiva fine a se stessa... La moda è vita, come tale deve essere contestualizzata nelle diverse epoche e nei differenti luoghi, è figlia di chi la incarna...

    Negli anni ‘60-’70 fu addirittura rivoluzione...

    Schiaparelli convivide appieno, il fashion non potrebbe essere “altro”... se non la diramazione della io interiore che diventa espressione del sè...

    Tra gli accessori fanno mostra di sè il surreale cappello-scarpa e le scarpe coi fanali...

    Le due designer s’interrogano anche sul ruolo dell’arte nella moda. E la domanda nasce spontanea: la moda in sè è arte?

    Schiaparelli se ne dice convinta, avendo lavorato con Dalì e creato “lobster dress, skeleton dress, shock shoes and dusk”, dando vita a tratti distintivi e visionari nelle creazioni, tipici del Surrealismo...

    Questa volta il dialogo non è condiviso dalla collega: per Prada i fashion-designer sono meno liberi degli artists, devono interpretare ciò che gli viene commissionato, perciò più legati ai dettami di chi indosserà l’abito richiesto...

    Il surreale, quanto magico, incantevole, incontro tra le due stiliste si chiude con Schiaparelli che chiede a Prada se possono condividere un aspetto: la moda, prima che ancora che innovazione di stili, perfezione delle rifiniture e cura dei particolari, è passione.

    Qui il confronto conosce un momento di sintonia totale e di fertile complementarietà.

    Miuccia Prada stringe la mano di Elsa Schiaparelli e sussurra “possiamo essere amiche...”.

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  • Art & Culture

    From Soho Lofts to a Lounge in Rome: ArtRom, the Domestic Intimacy of an Art Gallery in a House by the Cupolone...

    A breath of intense Americanism wraps us in a warm Roman evening of early summer, in the district of Prati, northeast of Italy's capital city. In a small private street, Via Faiti 6, in what would seem an ordinary apartment, we are surrounded by international artworks and immersed in the characteristic atmosphere of the New York art scene, while being captured by the spirit of a home gallery similar to the ones in downtown Manhattan, but that is in the heart of the Eternal City.

    Elizabeth Genovesi, curator of the current exhibition and founder of ArtRom, welcomes i-Italy in the intimate atmosphere of the home gallery.

    Born in California, Elizabeth has been living in Italy for a long time. She arrived in the “Capitale del Belpaese” from New York and, like all tourists in the world, she fell in love with the Italian way of life.

    She decided to extend her stay in Italy and ended up moving there for good. For the art dealer, Rome is a unique and indissoluble combination of art and life, ideally interwoven, in which both spheres of influence continuously flow into one another.

    Artistic passion, creative intuition and attention to the new trends are perfect ingredients for an elixir of resourcefulness and ingenuity made in the Usa. This alchemy of love for art that transcends the boundaries of belonging is in the spirit of the Roman ‘home’ gallery.

    Unique treats hang on the walls of the lounge. On one wall is the ceramic sculptural series “Impossible Teapots”, small masterpieces of craftsmanship created by Yvonne Ekman, on another wall, bright paintings by New York artist Denise Shaw. In the bedroom there are Storyboxes by the Italian artist ITTO.

    Elizabeth Genovesi opens the Artist Presentation Space to what she calls “Art Experiences”. We ask her what the purpose of this new dimension of the exhibition is. Simple: to experiment a remedy to the current mode of presentation of contemporary art, by not placing it within museums and commercial galleries where the approach with the public is cold, unfriendly and keeps the viewer from feeling involved.

    A home gallery, by nature, recreates an ambient of full contact with the arts: it bypasses the icy isolation of museums, including the noise and the frenzy of the crowd, giving way to a profusion of calm, relaxing domestic warmth and sociability to recover in an atmosphere of genuine involvement with the few guests.

    The idea is the one of letting go of preconceived ideas and notions, too long stifling the public’s relationship to contemporary art, in which the referentiality and austerity of the museum environments and standard commercial galleries creates barriers, obstacles and limitations: "either you are a connoisseur or you do not understand."

    Art is not to be understood, but to be lived, felt, experienced, allowing everybody to participate with ease and openness ... Even the entrance of the kitchen is filled with artworks ...

    The ‘Art Experience Evenings’ are scheduled within the calendar of every exhibition. Sometimes they are based on silent observation as theorized by Slow Art, a New York movement born in 2009 by Phil Terry, of which ArtRom Gallery is the only representative in Rome. Through this technique, the multi-faceted essence of the art connects to very personal and solitary moments, bringing the viewer back to a more private dimension of art appreciation. The rediscovery of a sense of collectivity happens through the Storytelling events, in which stories inspired by the exhibited works are created and shared spontaneously.

    The Artist Talk Series is another important component of each exhibition. The atmosphere is intriguingly suggestive in the early Summer evening event we partecipate in, during which the New York artist Denise Shaw has the floor. The lights dim, the right background music fills the air creating a magnetic charm and inviting you to relax. Finally the artist is introduced . . .

    Denise shares with the guests stories about her creative process and the life experiences that influenced her personal and professional growth. Beginning as a cartoonist and graphic artist in advertising she then moved quickly to the realization of works on canvas inspired by literature and her many travels.

    Shaw, mesmerizing the guests, narrates that in her loft in Soho the enormous canvases are scattered everywhere and therefore ubiquitous in the everyday life of the artist.

    Insight for her art involves hanging the paintings in the study while they are still virgin and letting inspiration, creativity, spirit of the moment related to feelings and moods define traits for the wall hangings. When the image appears, the artist says, she lays the cloth on the floor spreading the colors on them randomly, and only at the end she will add handwriting of Chinese characters. 

    Her works are often characterized by the presence of antithetic materials like sheets of gold, sand, raffia petals. The combination of delicate materials and heavy minerals suggests an harmonious coexistence of opposites.

    The Artist Talk takes off when Shaw says that the work on canvas created for ArtRom Gallery were inspired by four "Koan" on which she meditated.

    The term Koan indicates an instrument used in Japanese meditation practice consisting of paradoxical statements or stories used to guide meditation, producing self awareness and revealing the ultimate nature of reality.

    i-Italy interviewed Denise Shaw on this subject.

    Is Koan Art more about spiritualism and meditation or intuition, insight and no-rationality experiences? Which part is stronger?

    I would say I use my intuition, insight and non-linear thinking in my work and life. I have a 25 year old daily yoga practice which helped me develop a holistic approach to life. Yoga can heighten sensual, mental and emotional responses simultaneously. Having said that, I have always been a poor "meditator". I trust the messages that come when I am working in my studio. I embrace most spiritual traditions but do not subscribe to them.

    For me the koan, like many traditions, is a teaching parable. It is a story that provokes thoughts and visual images. My travels in Asia exposed me to the ancient stone Buddha statues lounging in the mountains as well as to the small stupas populating the villages. The koan is attractive because Buddhism is a mental, psychological practice that oftentimes enables you to extract your own inner guidance through meditation. As the Cubist artist Georges Braques stated: "Art is a wound turned to light." The koan takes a difficult situation and turns it into something valuable.

    In "The Necklace of Songs" your canvas produces sceneries. Denise, do you make reality come out or do you feel an interpreter of the reality that surrounds you?

    With "The Necklace of Songs" canvas I would say I used a Western approach, an interpretation of the erotic temple sculptures at Khajuraho located in the Chhatarpur District of Madhya Pradesh in India. The thousand-year old sculptures represent ecstatic dancing figures, making love with both humans and animals, with the intention of connecting with the Divine.

    I use a technique called "painting out" where the artist creates the underpainting -- in this case I painted a temple sandstone wall with a poem in calligraphy -- and then proceeds to paint over it and to add images around it. This technique creates memory and highlights what is below the surface.

    You have travelled to such diverse cultures as India, China, North Africa, Scandinavia, Europe, The Americas, Antarctica and the Arctic. What is the protagonist of your art? What is the most important element you get ispired by?

    When I travel I am aware of design, natural or man-made, that is indigenous to the place, the country, the city.

    For instance, I was just visiting Rome, which is timeless and beautiful, and I kept noticing planters on sidewalks made of concrete with copper band designs. I came back to New York and created a painting titled "Goodbye, hello Roma" using some of that motif and also some designs from ancient structures made of bricks. It is thrilling to experience the ancient Roman architecture, still thriving and present. It is powerful.

    In "The Necklace of Songs" your art has the power to create dreams. You are living and working in New York. Does the strength of reality and the hectic rhythm of the Big Apple conditions stimulate the fantasy in your art? Is it possible to consider your canvas as a mirror of the American society?

    All my artworks are created through my experiential, psychological, emotional and intellectually-curious lens of the Indian culture. I was born in the United States, just like my parents and grandparents, however when people ask me where I am from, I say: "I am not an American, I am a New Yorker." There is a big difference.

    My next door neighbors are Israeli and British and the neighbors living below us are from India. My husband was born in Norway. My perspective is global.

    New York City is still truly the melting pot of all the world's cultures, ethnicities, and lifestyles. The average American does not have this kind of life nor do they aspire to have it. So I would say that my canvases are not a reflection of the American life.

    New York is a kaleidoscopic and eclectic city where artists have the chance to enrich and improve their production thanks to its multietnic charm. Are there any particular aspects of the New York lifestyle you are inspired by? What do you like best about living in the Big Apple? How does it affect your art?

    My life is full of culture. It is a life of literature, fiction and non-fiction, film, theater, society, museums, cultural diversity, travel, international cuisine, it's inside of me and it finds its way into my work. As an artist I also live the life of the psyche.

    Life essentially is energy and certainly in New York City there is no lack of that. I love living in a global world, it is the only way to live for me...Here we are, all connected and made up of the same particles, only differentiated by cultural nuances.

    You have already exposed your works in Rome in 2009 and one of your canvases is about Pompeii. What are the similarities and the differences between Italian and American modern art?

    I believe that in Italy every surface and every wall is a fresco with marks of history and antiquity. I know Italian modern art, particulary Futurism and Dynamism. Having said that, the poetic work in watercolor by contemporary Neapolitan artist Francesco Clemente has inspired some of my figurative work. Clemente is not afraid of making the personal also political.

    Another great inspiration is the American artist Jasper Johns and the way he addresses surfaces, patterns and memory. My affinity to contemporary art goes beyond Europe, all the way to South Africa. I love the works of William Kentridge and Marlene Dumas who dissect and address the horrific issue of apartheid.

    I think the role of contemporary or modern art is to encourage this expression, the personal and political, the internal and external global conflicts.

    From patterns of color, texture, written language and symbol, human, animal and plant life to wood and paper applications on canvases, with layers of paint, pumice, sand and metal leaf. Your artworks enhance the sensual memory, and they are reminiscent of Italo Calvino's designs. Why did the writer's designs inspire you? 

    Italo Calvino paints with words. His perceptions are so particular and exact. These hold the tension between the opposites, both physically and symbolically. In my work I intentionally use contradictory materials, heavy sand and gels juxtaposed with thin gold leaf and thin washes of color. Calvino writes of urban beauty and simultaneously describes the underlying city violence. It is also true about New York City.

    The last paragraph in "Invisible Cities" is so relevant to me: "The inferno of the living is not something that will be; If there is one, it is what is already there, the inferno where we live everyday, that we form by being together. There are two ways to escape suffering it. The first is easy for many: accept the inferno and become such a part of it that you can no longer see it. The second is risky and demands constant vigilance and apprehension: seek and learn to recognize who and what, in the midst of the inferno, are not inferno, then make them endure, give them space."

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