Quel Jazz italiano che sta conquistando il mondo
Per capire la forza e la velocità con cui il jazz italiano si è diffuso in America in questi ultimi anni basta cominciare con un paragone: fino a circa 10 o 15 anni fa nei maggiori negozi dischi a New York (e a quel tempo ce n’erano tanti) alla sezione jazz c’era un piccolo scaffale con sopra scritto “European Jazz”. Ciò vuol dire che lì solo si vendevano i dischi di tutto il jazz che arrivava dall’Europa.
Oggi la situazione è drasticamente cambiata: il jazz proveniente da altri paesi si è così diffuso in America che molti artisti, almeno quelli più importanti, vengono considerati allo stesso modo di quelli che fanno parte integrante del jazz americano.
Negli Stati Uniti dunque, si è cominciato a pensare che il jazz non è un’esclusività della cultura americana, ma è un linguaggio musicale che appartiene a tutti e quindi tutti possono usarlo e modificarlo seguendo le proprie caratteristiche culturali. Come mai è successo tutto ciò? La risposta da un lato è semplice, da un altro è più complessa. Prima di tutto bisogna dire che il livello di bravura e di creatività dei musicisti europei è cresciuto enormemente in questi anni; poi c’è stato l’impatto sempre più crescente dei mezzi di comunicazione che ha facilitato la velocità di diffusione delle notizie e del jazz che proviene da oltre Atlantico. E il jazz italiano come si colloca in questo processo di espansione? Nel migliore dei modi, direi.
Il jazz in Italia ha avuto una fortissima crescita in questi ultimi venti anni: è vero che c’erano dei buoni musicisti anche prima, ma nessuno poteva mai sognarsi di avere la notorietà internazionale che oggi hanno Enrico Rava, Stefano Bollani, Paolo Fresu, Enrico Pieranunzi, Danilo Rea, Dado Moroni, Francesco Cafiso, Roberta Gambarini, solo per nominarne alcuni.
I nostri jazzisti non solo hanno acquisito delle capacità tecniche invidiabili, ma l’ingegno delle loro creazioni è ormai riconosciuto da tutti, anche dal pubblico meno esperto. Cosa differenzia il jazz italiano da quello fatto in America? Prima di tutto il modo di accostarsi alla tradizione di questa musica: un tempo i nostri jazzisti copiavano i modelli americani anche se talvolta riuscivano ad essere originali.
C’era come un timore reverenziale nel trattare quella musica e c’era la paura di non riuscire ad eguagliare i grandi maestri. Oggi c’è ancora questo rispetto dei modelli originali, ma allo stesso tempo è cambiato il modo di usarli. E’ sparita quella apprensione e si è capito che la propria cultura d’origine può arricchire il linguaggio jazzistico. Basta copiare, dunque! Facciamo il jazz come lo sentiamo dentro, trasformiamolo secondo la nostra tecnica e i nostri sentimenti: questa è stata la risposta implicita di tanti musicisti europei e italiani in particolare. La sensibilità per la melodia, dunque, assieme alla capacità di infondere suoni e strutture che provengono da altre forme musicali (il folklore, l’opera, la canzone ad esempio) hanno dato una caratteristica particolare al jazz prodotto in Italia. Senza, ovviamente, dimenticare lo swing e la capacità di improvvisare su un tema: le basi, i cardini direi, su cui si forma il linguaggio jazzistico.
Non dimentichiamo, tra l’altro, che il jazz è sì nato a New Orleans, ma anche e soprattutto per via dell’influsso musicale che proveniva dall’Europa (dalla Francia e dall’Irlanda prima di tutto) mescolato alle radici ritmiche e melodiche che appartenevano alla cultura di origine africana. E anche gli Italiani hanno detto la loro parola in questo processo: il primo trombettista a registrare un pezzo di jazz a New Orleans si chiamava Nick La Rocca (questo nome richiama qualche cosa alla mente?). Posso dire personalemente, senza essere troppo celebrativo, di avere contribuito in modo decisivo assieme al Festival Umbria Jazz alla diffusione del jazz italiano a New York e quindi al resto degli Stati Uniti.
In questi ultimi dieci anni numerose sono state le produzioni che ci hanno visti protagonisti. In particolare nei jazz club più noti in città: il Birdland e il Blue Note. Si è notato che il pubblico veniva numeroso e ascoltava con gran piacere i nostri jazzisti, che oggi sono conosciuti e apprezzati. I critici americani ormai dicono che il jazz italiano è il migliore fra quelli prodotti al di fuori degli Stati Uniti. E’ quello più affascinante, creativo, originale. E poi gli Italiani sono bravi a farsi amare e rispettare in America, no? C’è di che esserne orgogliosi: siamo stati così bravi tutti quanti, dai musicisti ai produttori ai giornalisti, a rimarcare che la musica importante in Italia non è solo l’Opera e quella leggera non è solo canzoni e mandolini: c’è il jazz, che è un linguaggio che appartiene a tutti e gli italiani si sono mostrati bravissimi a saperlo modellare con lo stile e la classe che contraddistinguono i prodotti culturali del nostro paese.
----
“TOP ITALIAN JAZZ AT BIRDLAND”.
Ecco qui di seguito la scaletta degli eventi di New York:
2 GIUGNO: Festa della Repubblica in Consolato: presentazione della settimana del jazz. Concerto del duo Joe Locke (vibrafono)-Edmar Castaneda (arpa) alle 7pm. Saranno presenti anche Carlo Pagnotta (direttore artistico di Umbria Jazz), Renzo Arbore (presidente di Umbria Jazz) e un rappresentante della Regione Umbria.
3 GIUGNO: Istituto Italiano di Cultura: presentazione del film di Renzo Arbore “Da Palermo a New Orleans: E fu subito Jazz” sulle storie degli emigrati italiani che hanno fatto parte della storia del jazz in America. Alla proiezione, presentata dallo stesso
Arbore, dovrebbe intervenire anche Martin Scorsese.
4-9 GIUGNO: Top Italian Jazz at Birdland. Le serate al jazz club Birdland (315 W 44th st. between 8th and 9th Ave.) sono costituite di due set, alle ore 8.30pm e 11pm. Sono così strutturate: 4-5 Giugno, duo Paolo Fresu (tromba)-Uri Caine (pianoforte); 6-7 Giugno Stefano Bollani Trio; 8-9 Giugno Enrico Rava Quintet Tribe. Al Birdland ci sarà uno speciale menu italiano, preparato e cucinato dallo chef umbro Claudio Brugalossi, oltre a una notevole scelta di vini.
i-Italy
Facebook
Google+