VOTO ALL'ESTERO. Cosa ne pensano gli italiani in Patria?

Maria Rita Latto (April 06, 2008)
Seguendo i commenti di illustri commentatori (Sergio Romano ed altri) e gente comune (per le strade di un quartire di Roma). Breve escursus sull'interesse in Italia per il voto all'estero


Dopo due anni si torna al voto e per la seconda volta ci sarà il voto degli italiani all’estero, reso possibile grazie alla legge Tremaglia. È tempo quindi di fare un bilancio su come questa abbia funzionato e cosa ne pensano gli italiani in patria.

Un nostro connazionale famoso, l’ex ambasciatore Sergio Romano, editorialista di punta del Corriere della Sera non ha mai nascosto, in verità ancor prima dell’esito del voto delle elezioni del 9 e 10 aprile 2006, la sua avversione per la legge Tremaglia ed in un articolo dal titolo che non lasciava il minimo dubbio -“La commedia degli onorevoli italo-esteri” (Corriere della Sera, 31 marzo 2006)- portava ad esempio il candidato argentino, Luigi Pallaro, il quale aveva “lasciato intendere, senza arrossire, che in Parlamento avrebbe votato con la maggioranza” e sempre secondo Romano, non a torto, dal momento che, essendo il suo collegio in Argentina, “il suo principale obiettivo non è la soluzione dei problemi della madrepatria, ma la soddisfazione delle esigenze dei suoi elettori”. E l’articolo si concludeva con un’affermazione lapidaria: “nessun partito politico italiano, nella prossima legislatura, potrà illudersi di fare totalmente conto sui rappresentanti degli italiani all’estero, anche quando sono stati eletti su una lista che porta il suo nome”.

Col passare del tempo Romano è tornato varie volte sul voto degli italiani all’estero, specialmente rispondendo a lettere ed e-mail di lettori attraverso la sua rubrica di posta sul Corriere. Ad esempio, il 21 marzo 2007, rispondendo ad un lettore, l’ex ambasciatore portava come esempio alcuni paesi, come la Spagna, i quali “fanno una distinzione tra coloro che vivono all’estero per alcuni anni e coloro che possono considerarsi definitivamente emigrati. I primi hanno il diritto di voto, i secondi no”. E, pochi giorni dopo, il 26 marzo 2007, Sergio Romano sempre sul Corriere tornava implicitamente sull’argomento nell’editoriale intitolato “Le ambizioni del Brasile”, consigliando al premier Romano Prodi che visitava il Brasile di non esagerare nel rendere omaggio ai molti italo-brasiliani perchè secondo lui, sono italo-brasiliani che a dispetto delle loro origini non hanno nè rimpianti, nè nostalgie” e per questo invitava Prodi a chiudere rapidamente il capitolo retorico dell’emigrazione ed affrontare problemi di comune interesse, in modo da giovare ai rapporti italo-brasiliani e alla politica estera italiana.

Ancora più recentemente, il 7 marzo 2008 ad un connazionale residente in Argentina, il quale affermava che ci fosse bisogno di “rappresentanti che possano essere al di là delle ideologie e logiche di partiti, con il fondamentale obbiettivo di mantenere vivo il legame con la terra d’origine”, Romano rispondeva ancora una volta in maniera inequivocabile: “Il compito del Parlamento italiano è anzitutto quello di fare leggi che la comunità nazionale dovrà osservare e di cui dovrà subire le conseguenze. Per i compiti descritti nella sua lettera basterebbe un Consiglio degli italiani all’estero con funzioni propositive e consultive”. Fino alla più recente risposta data il 20 marzo scorso, in cui Romano conferma che, a parer suo, la legge del 21 dicembre 2001, “votata con miope conformismo da destra e sinistra, sia stata una pessima legge”. E questo per varie ragioni, tra cui il fatto che “nessuno ha osservato che il rappresentante di un continente non rappresenta in realtà nessuno”, od ancora che “non è stato previsto che il rappresentante degli italiani all’estero, dopo essersi installato a Montecitorio o a Palazzo Madama, sarebbe stato dominato dalla preoccupazione di farsi rieleggere e avrebbe pensato alla comunità dei suoi elettori piuttosto che all’interesse nazionale italiano”. Inoltre, Romano parla delle reazioni di alcuni Paesi in cui i nostri connazionali risiedono: ad esempio, Canada ed Australia, secondo l’editorialista, hanno avuto una reazione “diffidente e indispettita” per aver “dovuto subire la costituzione di un collegio elettorale straniero nel loro territorio nazionale”, mentre, al contrario, altri Paesi come Argentina e Brasile, per esempio, “si sono rallegrati al pensiero di avere nel parlamento italiano deputati e senatori con passaporto argentino e brasiliano”. Secondo Sergio Romano, “il loro compiacimento avrebbe dovuto allarmarci ancor più della diffidenza del Canada e dell'Australia. A tutto questo –conclude l’ex ambasciatore- occorre aggiungere che lo stile parlamentare di alcuni dei rappresentanti eletti nel 2006 ha confermato tutte queste preoccupazioni e che l’errore, quando viene ripetuto, smette di essere umano per diventare diabolico”.

Un altro giornalista che non ha mai nascosto la sua avversione per la legge Tremaglia è Christian Rocca, corrispondente per il Foglio dagli Stati Uniti, Lo scorso 28 febbraio Rocca ha fatto un appello a Silvio Berlusconi e Walter Veltroni affinché aboliscano “subito, domani mattina, la barzelletta del voto degli italiani all’estero e la tragicommedia dei tanti senatori Pallari che già annunciano di schierarsi col vincitore, neanche fossero arbitri di calcio della serie A Tim. Io –continua Rocca- sono un italiano all’estero. Non voterò, anche perché pago le tasse in America e mi pare che il principio rivoluzionario e liberale fosse ‘no taxation without representation’, non ‘representation without taxation’”.

Per non parlare poi dei giudizi di alcuni colleghi politici. Uno per tutti, quello del deputato leghista Massimo Polledri il quale a proposito dei 41 milioni concessi a vario titolo per le norme presentate da Luigi Pallaro & C. ha coniato la definizione di “Alì Babà e i 5 italiani eletti all’estero” parafrasando la famosa favola di “Alì Babà e i Quaranta Ladroni”.  



E la gente comune come giudica l’operato di senatori e deputati eletti all’estero? Ho fatto qualche domanda in giro nel quartiere di Roma in cui vivo, cominciando dal baretto dove vado spesso a prendere un caffè. Piera, 43 anni, la proprietaria, è contro tutto e contro tutti, e, dovendo fare un bilancio di questi due anni di governo con gli eletti all’estero è categorica: “Chi vive fuori dall’Italia non dovrebbe esprimere giudizi, questa dei politici da fuori è stata un’emerita cavolata, per non parlare poi di come si sono svolti realmente i fatti, con tutte le storie dei brogli. Bisognerebbe cambiare la legge e tornare a come era prima”. Giorgia, 24 anni, la lavorante addetta ai cappuccini, da poco mamma di una bimba, esprime la sua opinione: “Secondo me non dovevano votare ed anche adesso non è giusto, anche se però una cosa buona l’hanno fatta: sono stati utili per cacciare via Berlusconi”. Andrea, 19 anni, militante di Forza Italia, risponde pronto: “Guarda che oggi è toccato alla destra ad essere danneggiata dal voto estero, ma domani potrebbe accadere anche alla sinistra!” Gli chiedo perché è così certo che il voto dei residenti all’estero possa essere così labile e lui mi spiega: “Ma non hai visto cosa ha fatto Pallaro? Ma non ti sei resa conto che lui è sempre stato dalla parte di chi gli ha dato i soldi? Anzi, i ‘nostri soldi’?”

Massimo, 18 anni, studente, due anni fa era stato favorevole al voto per i residenti all’estero, ma poi ha cambiato idea: “Vedendo come si sono comportati ho capito che è stato un autogol, perché a loro non interessa quel che interessa a noi, e molte volte hanno votato per fare i loro interessi, non i nostri”. Cinzia, 62 anni, pensionata, concorda: “Abbiamo visto che bastano pochi voti per rovesciare un governo ed è assurdo che minoranze disinformate determinino la politica dell’Italia. Speriamo che si possa modificare la legge”. Alfredo, 47 anni, assicuratore, obbietta: “Però, secondo la Costituzione, essendo italiani, anche loro hanno diritto al voto, quindi, o si cambia la Costituzione oppure si considera il loro voto legittimo come il nostro”. “Allora mi spieghi perché noi non possiamo dare la preferenza e loro sì? – interviene Andrea- Mi spieghi perché se siamo uguali loro, come dice la Costituzione, hanno un’agevolazione in più rispetto a noi?”

Paolo, 51 anni, edicolante dirimpettaio al bar, appena entrato per un cappuccino, non perde l’occasione per dire la sua: “Non è giusto che ci siano i politici dall’estero, non giusto che una persona che paga le tasse in Argentina debba essere determinante per decidere la mia aliquota IRPEF. Non è giusto che le decisioni sul ponte sullo Stretto, sulla TAV e su tutte le faccende di casa nostra vengano decise da un italiano che non sa nulla di quello che succede qui”.

“Ma soprattutto – interviene Virginia, 33 anni, commessa al supermercato vicino- gli italiani all’estero non dovrebbero votare per un motivo molto semplice: è facile decidere le regole e poi non giocare, mentre se voti devi anche subire le conseguenze delle tue scelte e non startene seduto in un bar dell’Avana a sorseggiare un mojito, mentre qui io combatto per avere un posto a tempo indeterminato!”

Il tocco esotico dato alla conversazione dall’ultima cliente non serve a risollevare il morale, anzi…! E Piera la proprietaria del baretto conclude: “Ma sapete che vi dico? Io li invidio proprio ‘sti italiani all’estero!”

 (pubblicato su Oggi7 del 6 aprile 2008)

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