Per questo non resterò neutrale

Gennaro Matino (June 11, 2018)
E' arrivato il tempo del coraggio. Ignavi li chiamava Dante che li colloca in un posto incolore dell'oltretomba... Non resterò a guardare se viene schiacciato chi per il colore della pelle è considerato straniero, chi per sesso è ritenuto nemico, chi per diversità di opinione è visto come un appestato. Credo nel paradiso domani e spero che un giorno ci possa essere un posto anche per me, indegno, lo spero fortemente. Semmai preferisco l'inferno per amore della libertà e dei fratelli, piuttosto che la devastante sterilità di un mondo fatto di ignavia, preferisco farmi trovare alla porta della verità con i coraggiosi superstiti di ideali per raccontare un mondo diverso: "Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio si alzò e andò ad aprire e vide che non c'era nessuno" (Martin Luther King).

"Padre perché complicarti la vita. Restare neutrali è prudenza". Caro amico che scrivi a me, ma pensi a te, e ritieni che ci sia un tempo in cui è meglio non dire cosa si pensi per paura della reazione volgare della piazza, perché si possono perdere posizioni, perché intanto il vento è cambiato ed è preferibile seguirne il soffio. Ricordo a te quello che qualcun altro scriveva tanto tempo fa, perché la verità non fosse offuscata dalla regola comune della menzogna: "I luoghi più caldi dell'inferno sono riservati a coloro che in tempi di grande crisi morale si mantengono neutrali".

Ignavi li chiamava Dante che li colloca in un posto incolore dell'oltretomba, specchio perfetto della loro vita, schifati addirittura dai diavoli che non li vogliono all'inferno, costretti a inseguire nudi una bandiera bianca che corre veloce e gira su se stessa, veloce e girevole come il vento mutevole dei voltagabbana, dei senza opinione, dei "non me importa, non me passa manco pa' capa".

Per tutti loro il Sommo poeta declina: "Non ragionar di lor ma guarda e passa". Democrazia è ben altra cosa, è sentire forte il desiderio di essere parte attiva nella costruzione del bene comune ma senza ipocrisia, perché proprio una falsa accezione del bene comune, degenerato in altro affare, è il motivo di una politica egoistica, rissosa e di una crisi di verità che porta il presente di una nazione a rischio di libertà.

Ispirati al bene comune, gli ideali del passato, considerati ormai carta straccia, sono stati alla base della Carta costituzionale che dovrebbe restare la pietra d'inciampo di qualsiasi riduzione della regola a egoistico vantaggio. Purtroppo oggi, incancrenita l'esasperazione individuale, il bene comune, scarsamente professato dal cittadino, è degenerato nel proprio personale bisogno, semmai da condividere, allargare, diffondere. Il bene collettivo per la politica del paese è diventato un concetto ambiguo, inteso non come oggettiva necessità di bene pubblico da garantire a tutti indistintamente, ma come somma di privati bisogni da soddisfare in ragione del numero dei "clienti" che saranno i propri futuri elettori.

Atteggiamento presente e diffuso in tempo scialbo di pensiero dove l'opinione pubblica scavalca il faticoso ed esaltante percorso del giudizio e scegliendo senza scegliere, adeguandosi al così fan tutti, detta regole alla politica che, piuttosto che darsi visioni, prova a manipolare quella stessa opinione di massa condizionandola a suo vantaggio con ogni mezzo di propaganda ingannevole e promesse illusorie.

No, la democrazia in cui credo, la libertà che professo, la fede evangelica a cui provo a riferire il mio presente, mi impongono altro pensare, altro decidere nel rispetto dell'altrui pensiero, in ascolto delle diverse opinioni, ma con la tenacia irresistibile del rispetto di me stesso che non potrebbe sussistere senza la forza e la difesa dei miei convincimenti. Anche la Chiesa, per quanto mi riguarda, per amore della verità, nel rispetto delle parti, in un momento così difficile della storia, per il rispetto che si deve alla libertà della parola, diversa e contraria, non può più chiamarsi fuori dalla politica per gestire nel segreto convenienti percorsi di parte, non può se la politica è la più alta forma di carità.

Provocare spazi di riflessione e di approfondimento tra la sua gente, sulla nazione, sul futuro del bene comune è ormai ineludibile, perché tra i credenti rinasca di nuovo la gioia, l'entusiasmo, la responsabilità di interessarsi alla politica come compassione, come visione collettiva, come spazio per tutti, come agorà di interessi generali oltre l'egoismo di parte. Il vangelo non si coniuga nelle chiuse mura di un tempio, ma nelle strade percorse dell'umana quotidianità e se domani ci sarà addebitato un peccato è quello di non aver alzato la voce contro chi vendeva fumo e drogava i semplici, chi alimentava odio e offendeva il diverso, chi prometteva paradiso agitando inferni. Il quotidiano è vangelo da annunciare e la politica è somma di situazioni quotidiane e particolari che prendono forma sociale.

Non resterò a guardare se viene schiacciato chi per il colore della pelle è considerato straniero, chi per sesso è ritenuto nemico, chi per diversità di opinione è visto come un appestato. Credo nel paradiso domani e spero che un giorno ci possa essere un posto anche per me, indegno, lo spero fortemente. Semmai preferisco l'inferno per amore della libertà e dei fratelli, piuttosto che la devastante sterilità di un mondo fatto di ignavia, preferisco farmi trovare alla porta della verità con i coraggiosi superstiti di ideali per raccontare un mondo diverso: "Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio si alzò e andò ad aprire e vide che non c'era nessuno" (Martin Luther King). Io ci sarò, caro amico, e per questo non resterò neutrale.

 

*Gennaro Matino, teologo, scrittore, docente di teologia pastorale e parroco a Napoli

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