I fallimenti dell'Episcopato nelle scelte politiche dei cattolici
CATTOLICI in politica, un capitale dilapidato da tempo da miopia progettuale, da tradimento di visione, da mancata sintesi tra l’essere credenti nella Chiesa e nel mondo. Meglio forse sarebbe, per onore di verità, avere più coraggio e cercare altri appellativi per descrivere quei pochi credenti o presunti tali che scelgono di partecipare attivamente alla vita politica.
Meglio ancora se si riconsiderassero i percorsi di certi partiti che dicono di rifarsi al cattolicesimo popolare, sia per la dignità della sua storia politica che per la Chiesa stessa.
L’ultima scelta dell’onorevole Casini di riposizionarsi nella destra berlusconiana la dice lunga su quanta coerenza esista in certa parte politica, come la dice lunga la miopia ottusa dell’episcopato italiano, che prima si è accomodato sulle poltrone dei privilegi preparate da Berlusconi, tacendo lo stato di degrado etico in cui il paese progressivamente piombava, e poi ha sostenuto, come se fosse stato parte neutra nella vicenda, il tentativo di Scelta Civica.
Senza pudore ha rivendicato per il nuovo movimento un presunto quanto infondato stato di verginità e il ruolo di nuovo centro politico e futuro ago della bilancia delle scelte del Paese, calando nella mischia nomi di prestigio del laicato cattolico, senza programmi e senza prospettive.
E quando qualcuno ricordava ai vescovi che senza la chiarezza dei percorsi si sarebbe potuta sprecare l’ultima carta a disposizione della Chiesa per dire la sua al mondo politico e che forse proprio l’accostamento così vistoso della Chiesa cattolica al nuovo partito, cosa mai avvenuta prima neppure ai tempi della Democrazia cristiana, avrebbe fatto male a entrambi, a fronte del fallimento non hanno avuto il coraggio di riconoscere il loro errore e chiedersi quale responsabilità abbia la Chiesa di fronte al paese.
Perfino in Campania e a Napoli, terra di antica militanza cattolica, le promesse di nuove frontiere politiche per i cattolici sembrano ormai slogan caricaturali come le scenografie a uso massmediale di ogni adunanza clerico-cattolica battezzata euforicamente come discesa in campo dei cattolici. Diciamocela tutta, chiunque oggi si presenta come cattolico in politica, al di là della presunta forza della Chiesa e nonostante la sua storia personale, vive lo smarrimento nella contesa partitica, e la delocalizzazione della sua parola, sentendosi incapace di incidere veramente sulla linea di pensiero e di azione della vita politica del paese.
Un ruolo irrilevante quello dei cattolici, un’afasia di significato, emarginati a essere gregari rispetto a posizioni culturali lontanissime dal Vangelo e dalla dottrina sociale.
Ma sarebbe grave scaricare la colpa di tutto questo sui politici cosiddetti cattolici dimenticando che essi non sono altro che la rappresentazione del fallimento della Chiesa italiana, che da tempo ha abdicato alla formazione di un laicato adulto e responsabile, capace di scelte autonome che siano perfino in controtendenza ai desiderata della gerarchia, preferendo a chi ha capacità di pensiero autonomo i servi clericali, pronti a soddisfare la voracità di certo potere ecclesiastico.
Dove sono oggi i laici nella Chiesa che dovrebbero essere pronti a dare ragione della loro fede anche nell’agone politico? Perché non parlano e quando parlano lo fanno a sproposito? È superfluo ricordare che non tocca ai vescovi o ai cardinali suggerire ai fedeli laici come mediare i valori cristiani nell’attività legislativa?
È inutile che la Chiesa italiana continui a rivendicare pedissequamente l’irrinunciabilità ai cosiddetti valori non negoziabili ed esigere che le legislazioni li promuovano, se non consente che i cattolici in politica si facciano carico di una ricerca paziente di soluzioni pratiche, mai reazionarie, che tengano conto anche di chi ha concezioni diverse.
Una mediazione antropologica ed etica che riguarda lo stato laico che deve riguardare ancora di più il credente che serve lo Stato, perché i principi della fede, lungi dall’essere un motivo di conflitto all’interno della convivenza civile, devono poter essere vivibili e appetibili anche per altri che la pensano diversamente.
Fuori da questa visione non ci sarà mai più un cattolicesimo in politica, ma solo l’uso strumentale del nome di cattolico da parte di politici furbastri.
Solo ripartendo da un lavoro faticoso e strutturato dalla base, fondato sulla declericalizzazione del laicato e su un rivoluzionario impegno di formazione di laici adulti alla vita del Vangelo, avrà senso immaginare una nuova cittadinanza per il cattolico impegnato in politica che, più che cercare un nuovo partito dei cattolici, deve potersi orientare diversamente, fedele ai suoi convincimenti, nel molteplice mondo della varietà culturale, etica e antropologica.
* Gennaro Matino è docente di Teologia pastorale. Insegna Storia del cristianesimo. Editorialista di Avvenire e Il Mattino. Parroco della SS Trinità. Il suo più recene libro: “Economia della crisi. Il bene dell'uomo contro la dittatura dello spread”
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