Italian Jazz "Suona il sax, Pal"

Enzo Capua (July 10, 2015)
Se provassimo a chiedere a qualcuno che conosce anche solo un po’ il jazz, qual è lo strumento che si identifica con questa musica, che la rende riconoscibile rispetto alle altre, quasi inevitabilmente ci verrà risposto: il sassofono o la tromba. Strumenti a fiato, dunque. In pratica prolungamenti esterni della voce, di ciò che è più diretto, umano, nella comunicazione fra esseri. Il respiro che esterna la nostra stessa anima, quindi ciò che ci identifica e ci differenzia di più fra gli altri. A questo punto c’è da chiedersi: perché il jazz viene generalmente identificato con il fiato, l’emissione dell’aria dai nostri polmoni?


Chi si occupa a fondo di questa musica sa bene che tanti altri strumenti hanno dominato la storia del jazz e ne hanno modellato stilisticamente il suo percorso negli anni: il pianoforte o la chitarra, ad esempio, persino la batteria e il contrabbasso. Eppure nel cuore di tutti, gli appassionati come gli ascoltatori occasionali, si cela sempre l’amore per un sassofonista, un trombettista, un trombonista anche.


La risposta a quel perché è di difficile definizione, ma possiamo azzardarne una: ciò che colpisce di più in questa musica è la spontaneità nella comunicazione fra i musicisti, la loro capacità di improvvisare su un tema, il calore che emana da una particolare interpretazione. In pratica gli strumentisti stanno discorrendo fra loro e allo stesso tempo ci stanno comunicando una condizione del loro animo senza bisogno di parlare, a meno che fra loro non ci sia un cantante, ma questo è un altro aspetto della questione che abbiamo già affrontato la scorsa volta. Comunque tutto ciò rende il jazz una musica dalla speciale umanità: ci può rallegrare, rattristare, far pensare o dimenticare il presente. Difficilmente, a meno che non sia di fattura scadente, respingerà il confronto con noi che siamo il pubblico.


La prossima volta cominceremo a parlare quindi di sassofoni, e poi di trombe, clarinetti, ecc.. facendo anche dei raffronti con i musicisti italiani che sono diventati dei protagonisti in questi strumenti e come si sono rapportati con i grandi maestri americani. Ma per chiudere vorrei raccontare un aneddoto che circola da tanti anni nel mondo del jazz e che può aggiungere una nota divertente, ma non tanto superficiale, a quanto abbiamo già detto a proposito degli strumenti a fiato. Il grande Lester Young, uno dei più importanti sassofonisti della storia del jazz, che è stato capace di dare un’impronta indelebile allo stile del sax tenore fra gli anni ’40 e ’50, aveva in realtà inziato a suonare come batterista. Amava quello strumento ritmico, variegato e spesso ingombrante. Però presto decise di abbandonarlo per abbracciare il sax, fino a diventare un tuttuno col suo strumento.


Quando gli chiesero come mai avesse cambiato strumento lui rispose: “Bé, mi ero accorto che alla fine dei concerti, mentre io stavo ancora lì a smontare la batteria, gli altri del gruppo se ne andavano con i loro strumenti abbracciati alle ragazze che erano venute ad ascoltarci. Per cui mi sono detto: suona il sax, amico, che avrai qualche donna in più a seguirti dopo!”. Questa storia raccontata dallo stesso Lester Young potrà anche essere colorita, ma il nostro sassofonista che era un uomo estremamente sensibile, d’animo delicato e non certo dal fisico prestante, ha forse fatto la scelta giusta per la sua e soprattutto la nostra gioia.

 


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