Articles by: Giovanna Landolfi

  • Abruzzo: Solidarietà tra sensibilità e sfiducia

    Non esiste una vicenda, un fatto o un evento che riesca a compattare il popolo italiano più di un terremoto all'interno dei confini nazionali.

    Forse perché la recente memoria comune è costellata da ricordi legati a questo tipo di tragedia, e tutte le generazioni in vita hanno vissuto questa esperienza o direttamente o dai racconti di genitori e parenti.

    Gli italiani vivono non solo la violenza e la tragicità della forza della natura, non solo il dramma ed il dolore per le perdite umane e dei beni materiali conquistati con i sacrifici di un'intera esistenza, ma condividono soprattutto un grande senso di impotenza e di rassegnazione in merito al futuro ed un grande incertezza che regna nel momento della ricostruzione. 

     

    E questo perché tra i ricordi recenti, che gli italiani custodiscono, ve ne è uno assai vivo che riguarda la gestione spesso assai dubbia e precaria di soldi e di beni di prima necessità destinati alle popolazioni vittime di simili tragedie.

    All'indomani del terremoto in Abruzzo dello scorso 6 aprile, uno dei primi problemi affrontati sia pubblicamente dai mass media che dalle persone comuni è stato appunto quello di riflettere sull'opportunità o meno di conferire la propria fiducia a persone ed associazioni che si propongono di gestire l'emergenza, in quanto intimoriti dal ripetersi di una fallimentare se non criminosa gestione come molto spesso accertato in passato.

    Questo senso di sfiducia è talmente diffuso tra gli italiani che già a poche ore dal sisma era possibile leggere sui forum dei più importanti quotidiani nazionali dei commenti in cui non solo i lettori esprimevano il loro dolore per l'accaduto ma manifestavano apertamente le loro paure in merito alla gestione di soldi e beni da destinare ai terremotati. E' ancora presente nelle menti di tutti il vergognoso scempio compiuto trent'anni fa in Irpinia, e l'impossibilità ancora oggi di poter affermare con chiarezza quale fu il criterio di amministrazione degli aiuti economici offerti sia dall'intera Italia che dalla comunità internazionale, estremamente scioccata dall'entità distruttiva del sisma. Ed accade quindi che il senso di sfiducia vada ad incidere sulle buone intenzioni di chi vorrebbe praticamente offrire il proprio aiuto.

    La rete riflette bene il pensiero ed i dubbi degli italiani. Chi frequenta forum e social network avrà certamente notato il nascere di gruppi che invitano a riflettere e e a prendere le dovute informazioni su persone ed associazioni a cui affidare i propri soldi; altri invece consigliano di non donare soldi e di provvedere personalmente nel recapitare beni ai terremotati. Inoltre, sempre all'interno dei social network, sotto la voce 'events', è curioso notare come per ogni singola iniziativa tesa a raccogliere soldi per l'Abbruzzo, si abbia premura di sottolineare le buone intenzioni di chi sta organizzando la raccolta e di ricordare 'per onestà' che da quei soldi verrà trattenuta solo una piccola percentuale per coprire le spese di gestione dell'evento.

    Insomma, la generosità del popolo italiano è immutata e la sua sensibilità e partecipazione a questa tragedia è sempre altissima, ma la sfiducia che ognuno nutre nei confronti dell'altro impedisce  a tutti di poter dormire sonni tranquilli, divorati dal dubbio dell'utilizzo dei propri soldi.
    E' bene comunque nutrire le migliori speranze per l'Abruzzo, sperando che almeno questa volta la gravità della tragedia possa scuotere  le coscienze di tutti, nessuno escluso.

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    DA FACEBOOK, ESEMPIO DI ALCUNI GRUPPI:

    "Ma io per il terremoto non spendo nemmeno” Giacomo Di Girolamo (articolo con ha molti gruppi di risposta on line)

    http://www.facebook.com/group.php?sid=2499b7c46249b717b8c4a1ff74e520af&gid=73145572313&ref=search

    Io voglio sapere come verranno spesi i soldi in Abruzzo!!!!!!!

    http://www.facebook.com/group.php?sid=5ab87d5a8285869565de5a2ac27eda24&gid=72402743516&ref=search

    "Serata di beneficenza per i terremotati d'Abruzzo"

    Nella descrizione: E' previsto un menù di pizzeria ad €.20,00, di cui €.15,00 andranno per i terremotati (il tutto ovviamente attestato con documentazione dell'Associazione che si prenderà carico di recapitare il devoluto, seguito personalmente dagli organizzatori di questo evento) ed i restanti €.5,00 andranno a coprire i costi di gestione. http://www.facebook.com/event.php?eid=100691556208&ref=mf

  • Divinamente Antonella, a Voice from the Sky. NY. Incontro con l'interprete di "Vacanze Romane"

    “Her voice comes from the sky.” Con queste parole l’attrice Pamela Villoresi, direttrice artistica del festival Divinamente New York, ha presentato Antonella Ruggiero al pubblico del Centers for the Arts Angel Orensanz Foundation di New York. Perfetta nell’esibizione, la Ruggiero ha unito la sua grande tecnica canora alla consueta, immensa e travolgente passione, seducendo il pubblico. Al termine della performance era possibile leggere una grande emozione sui volti di tutti, una grande commozione alimentata molto anche da uno dei brani più celebri del suo repertorio e che tutti speravano di poter ascoltare: Vacanze Romane.

    Nel pubblico molti americani, che pur non conoscendo a fondo la lingua italiana, dicevano di essere lì per ascoltare la voce della cantante che, a detta di una persona seduta vicino a noi 'it goes beyond the borders of language and it's like a musical instrument... no matter if she sings in Italian'.

    La Ruggiero ha accompagnato la sua voce con una gestualità d'altri tempi. Perfetta. Divina. Suggestiva e unica nel suo genere. Dal palcoscenico allestito sapientemente nel Centro Orensanz, - edificio originariamente costruito come sinagoga e oggi un punto chiave della vita culturale newyorchese - alla platea della Middle Collegiate Church, dove insieme a noi attendeva che il sipario si aprisse sullo spettacolo di  Pamela Villoresi.  
    L’abbiamo avvicinata per porle a volo un paio di domande. Davanti a noi una persona semplice ad al tempo stesso carismatica, l’essenza della femminilità. Una voce musicale da ascoltare anche solo mentre parla.  

    Che cosa prova nel sapere che vi sono persone che considerano la sua voce alla stregua di uno strumento musicale, che l'ascoltano e si emozionano al di là delle barriere linguistiche così come un profano si emoziona con un assolo senza conoscere le note musicali?

    “Considero la musica come un territorio senza barriere, senza limiti né confini, quindi per me la musica potrebbe anche non avere parole. Ed infatti nell’ultimo cd che ho realizzato, con Roberto Colombo, non ho voluto inserire parole ma solo vocalizzi perché per me l’essere umano ha spesso questa grande capacità di comunicare anche solo semplicemente attraverso il suono. E questo è una conferma di ciò che lei ha notato tra il pubblico. Mi rende molto felice. Attraverso i suoni e quindi anche i vocalizzi si è in grado di esprimere ciò si  pensa, la propria valutazione nei confronti del mondo, della vita e degli altri. Secondo me viene magicamente fuori tutto ciò anche solo dai suoni. Anche senza l’ausilio delle parole puoi esprimere una parte del tuo mondo interiore. Io vado avanti così, proseguirò su questa strada perché è così che sento e concepisco la musica.”

    Il suo percorso artistico è in continua evoluzione. Da icona pop degli anni ’70 e ‘80 alle sperimentazioni e alle nuove interpretazioni musicali degli anni ’90. Dal 2000 con Sacrarmonia offre al suo pubblico un vasto repertorio di canti sacri d’ispirazione cristiana e temi etnici di varie parti del mondo che ha proposto in tanti paesi, esibendosi in diverse chiese e teatri e che ha riproposto qui a New York in occasione del festival Divinamente New York. E’ la prima volta che propone questo repertorio negli Stati Uniti?
    “Mi sono esibita a New York già due volte,  ma è in assoluto la prima volta che propongo questo tipo di repertorio in questa città. L’altra sera ho riproposto Sacrarmonia per essere in linea con il festival Divinamente New York, m il mio repertorio è molto vasto e va dalla musica popolare al jazz e all’elettronica, insomma tocca un po’ tutti i generi. L’ultimo cd è una creazione molto particolare e vorrei poter portare in giro quello. L’ho presentato in Italia in occasione di una rassegna sulla voce femminile al Piccolo Teatro di Milano. Partiremo a marzo con la tourné in alcune città del nord Italia.”

  • Valentine Typewriter, 1969. San Valentino Made in Italy—quarant'anni fa


    La tradizione di regalare oggetti particolarmente insoliti al di là dei classici fiori e cioccolatini in occasione della giornata degli innamorati non è una tradizione recente.


    Quest'anno, il Museum of Modern Art di New York ricorda le antiche glorie di una delle più grandi aziende italiane, che ebbe l'intuito di lanciare sul mercato un prodotto che oggi definiremo molto 'branded' destinato alla ricorrenza.


    Parliamo dell'Olivetti e della "San Valentino" una macchina da scrivere portatile, in plastica rossa fiammante, diseganta dall'architetto e designer italo-austriaco Ettore Sottsass e lanciata in edizione limitata per il 14 febbraio del 1969.

    Quarant'anni fa la macchina da scrivere era un oggetto tipicamente da ufficio, nera, gigia o verdognola, un oggetto senz'anima. Lo stesso accadde poi per il personal computer, il suo pronipote. E chi non ricorda l'impatto liberatorio e rivoluzionario che ebbe l'uscita sul mercato dell'iMac della Apple nel 1998—quando Steve Jobs ci rivelò ciò che tutti avevamo sempre saputo, ma non avevamo mai saputo dire... e cioè che un computer può essere azzurro, giallo, verde o color fragola, ed essere un oggetto divertente e perfino di culto, da tenere anche in salotto?


    Ebbene la "San Valentino" di Sottsass ebbe, decenni prima, un simile effetto, diventando uno degli oggetti più venduti ed in voga del periodo. Non solo rappresentò un ulteriore successo per l'Olivetti, ma costituì anche un felice turning point per la carriera del suo ideatore, che divenne una celebrità prima in Italia e poi in Europa.


    Sottsass, anche noto per per essere stato il marito della famosa scrittrice italiana Fernanda Pivano, era diventato consulente dell'Olivetti nel1959, spingendo l'azienda ad occuparsi con più meticolosità dell'aspetto estetico dei suoi prodotti, ritenendo che l'estetica dovesse rendere l'oggetto più personale e meno freddo per il consumatore, in modo da poterlo coinvolgere emotivamente nel lavoro che avrebbe portato a termine attraverso tale oggetto.


    La sua macchina, però, non era di certo un regalo unisex, ma dedicato soprattutto alla popolazione femminile. Innanzitutto perché la dattilografia in quegli anni, era un'occupazione quasi esclusivamente femminile; e in secondo luogo perché il rosso fiammante (ma vi fu anche una versione verde pisello!) non si addiceva ad un uomo, specie ad un sertioso uomo d'azienda.


    Ma Sottsass aveva visto giusto, i tempi stavano cambiando. La macchina per scrivere di San Valentino divenne un'icona dell'arte moderna, come il Moma riconosce oggi dedicandole una sezione online. Su ebay è possibile trovarne alcune in vendita, a partire da un centinaio di dollari, da una collezione privata di un utente giapponese.

     

  • San Valentino Made in Italy—quarant'anni fa...


    La tradizione di regalare oggetti particolarmente insoliti al di là dei classici fiori e cioccolatini in occasione della giornata degli innamorati non è una tradizione recente.


    Quest'anno, il Museum of Modern Art di New York ricorda le antiche glorie di una delle più grandi aziende italiane, che ebbe l'intuito di lanciare sul mercato un prodotto che oggi definiremo molto 'branded' destinato alla ricorrenza.


    Parliamo dell'Olivetti e della "San Valentino" una macchina da scrivere portatile, in plastica rossa fiammante, diseganta dall'architetto e designer italo-austriaco Ettore Sottsass e lanciata in edizione limitata per il 14 febbraio del 1969.

    Quarant'anni fa la macchina da scrivere era un oggetto tipicamente da ufficio, nera, gigia o verdognola, un oggetto senz'anima. Lo stesso accadde poi per il personal computer, il suo pronipote. E chi non ricorda l'impatto liberatorio e rivoluzionario che ebbe l'uscita sul mercato dell'iMac della Apple nel 1998—quando Steve Jobs ci rivelò ciò che tutti avevamo sempre saputo, ma non avevamo mai saputo dire... e cioè che un computer può essere azzurro, giallo, verde o color fragola, ed essere un oggetto divertente e perfino di culto, da tenere anche in salotto?


    Ebbene la Valentine di Sottsass ebbe, decenni prima, un simile effetto, diventando uno degli oggetti più venduti ed in voga del periodo. Non solo rappresentò un ulteriore successo per l'Olivetti, ma costituì anche un felice turning point per la carriera del suo ideatore, che divenne una celebrità prima in Italia e poi in Europa.


    Sottsass, anche noto per per essere stato il marito della famosa scrittrice italiana Fernanda Pivano, era diventato consulente dell'Olivetti nel1959, spingendo l'azienda ad occuparsi con più meticolosità dell'aspetto estetico dei suoi prodotti, ritenendo che l'estetica dovesse rendere l'oggetto più personale e meno freddo per il consumatore, in modo da poterlo coinvolgere emotivamente nel lavoro che avrebbe portato a termine attraverso tale oggetto.


    La sua macchina, però, non era di certo un regalo unisex, ma dedicato soprattutto alla popolazione femminile. Innanzitutto perché la dattilografia in quegli anni, era un'occupazione quasi esclusivamente femminile; e in secondo luogo perché il rosso fiammante (ma vi fu anche una versione verde pisello!) non si addiceva ad un uomo, specie ad un sertioso uomo d'azienda.


    Ma Sottsass aveva visto giusto, i tempi stavano cambiando. La Valentine divenne un'icona dell'arte moderna, come il Moma riconosce oggi dedicandole una sezione online. Su ebay è possibile trovarne alcune in vendita, a partire da un centinaio di dollari, da una collezione privata di un utente giapponese.

     

  • "If I could vote I would certainly vote for ... Obama"


    Bisogna ammetterlo senza timore: le sorti del mondo per i prossimi quattro anni – o chissà, forse anche di più – sono nelle mani di pochi milioni di persone con passaporto americano. Le altre centinaia di milioni escluse dalla tornata elettorale vorrebbero in qualche modo intervenire all’interno di questo processo che le riguarda da vicino. Ma è inutile: se non hai il passaporto americano non sei ‘allowed’ ad esprimere il tuo parere in merito. Ma se non puoi votare, puoi sempre cercare di fare proseliti per la tua causa impersonata da uno dei due candidati. E come puoi fare tutto ciò se non creando un tuo personale messaggio da spedire alla community globale sperando che i cittadini statunitensi ti prendano un po’ in considerazione? Forse è questo uno dei motivi che induce tante persone in tutto il mondo a creare un self made spot da diffondere in rete. Se non puoi partecipare al processo, in teoria, puoi sempre tentare di incidere. Oppure ti cimenti a veicolare messaggi anche se della politica non ti interessa nulla: sei solo un po’ eccentrico e vuoi vivere la verve mediatica della campagna elettorale e ti divertirti con gli strumenti del web 2.0.

     

    Qualsiasi possa essere la vera motivazione, scavando tra i server è possibile imbattersi in una serie di video non ufficiali dedicati ai due candidati alla casa bianca. O meglio, sono tutti – o quasi – per Obama. Ce ne sono in tutte le lingue e girati in ogni parte del mondo. Anche l’Italia invia i suoi messaggi ai cittadini con passaporto americano. Ecco quindi dei gondolieri veneziani che si cimentano in un remake di ‘Nel blu dipinto di blu’ dove ‘Obama’ è il punto centrale del refrain; ecco il consorte italiano di una cittadina statunitense estremamente rammaricato di non poter votare per l’uomo che cambierà in meglio le sorti del mondo; ecco degli americani o italo-americani in Italia che organizzano eventi per la raccolta fondi di Obama. Ma in tutti – tranne l’ultimo caso ovviamente – è evidente il grande rammarico di non poter essere parte di questa élite privilegiata che ha diritto di voto. E la loro sembra una sorta di preghiera – seppur scherzosa -affinché gli americani possa pensare quanto gravoso sia il loro compito.

  • Opinioni vs Realtà: ci scusi la signora Englaro


    Ogni anno, puntuale come il panettone a Natale, ecco arrivare alla ribalta della cronaca l’ennesimo caso di coscienza a cui seguirà una fiumana di parole. Nel 2005 Terri Schiavo, nel 2006 Piergiorgio Welby, nel 2007 Giovanni Nuvoli, nel 2008 Eluana Englaro: tutte persone accomunate dallo stesso dramma dato dall'impossibilità di vivire in maniera autonoma ed autosufficiente. Per Terri Schiavo (Florida) si mobilitò addirittura il presidente Bush per impedire che fosse staccato il tubo di alimentazione che la teneva in vita, ma ciò non interferì con la realizzazione della volontà del suo tutore. Nel 2006 con il caso di Piergiorgio Welby, il Tribunale di Roma riconosce la presenza di vuoti legislativi nell'ordinamento giuridico italiano in  tale materia, non esistendo però nemmeno una legge a favore dell'accanimento terapeutico, così Welby deciderà di porre fine alla sua esistenza. Nel 2007 Giovanni Nuvoli morì per uno sciopero della sete e della fame per protestare contro l'intervento della procura di Sassari che bloccò il medico che, per sua volontà, doveva staccargli il respiratore. Nel 2008 si decide la sorte di Eluana Englaro, in coma vegetativo permanente dal 1992 a seguito di un incidente stradale.

    Con intenti più o meno morali tutti noi – nessuno escluso - ci sentiamo autorizzati ad esprimere un’opinione in merito alle sciagure degli altri. Perché grondiamo di opinioni ed ‘according to me’  fino a quando il dramma non entra nelle nostre case; ma fino ad allora siamo tutti opinionisti, filosofi, moralizzatori, liberali, tutti più o meno velatamente convinti di possedere l’unica chiave interpretativa dell’esistenza. Siamo così persuasi della giustezza del nostro sentire che reputiamo i nostri interlocutori come dei poveri disgraziati che della vita in realtà non hanno capito un tubo.

    Il caso della signora Eluana Englaro ha dell’incredibile. Ma noi siamo abituati a questo tipo di incredibilità. Ormai abbiamo maturato la nostra idea in merito al coma vegetativo per cui sappiamo bene ciò che è opportuno fare quando si presenta una situazione del genere a casa degli altri. In fondo, anche se ce ne vantiamo poco, siamo un po’ tutti dei surrogati di medici e di padri spirituali. Quelle due pagine della bibbia letta al catechismo o un corso di primo soccorso ci hanno trasmesso gli input necessari per mandare a giudizio l’intera umanità. Ma fino a quando il dramma è degli altri. E’ un po’ come quando si teorizza sulla guerra nelle altri parti del mondo. ‘Is it right or is it wrong, that is the question’. Ne possiamo fare una questione morale solo quando sappiamo che possiamo andare a dormire tranquilli perché abbiamo inserito l’allarme a tutte le finestre e nessuno ci romperà le scatole questa notte. Però, se fossimo noi fisicamente coinvolti nel conflitto a fuoco forse il nostro ragionamento sarebbe molto più pragmatico.

    Ci piace teorizzare, ed è giusto. Giocare con le parole e pensare è davvero una libidine. Però, come ognuno teorizza e gioca, dovrebbe poi essere in grado di trasformare tutto ciò in azioni nei momenti in cui queste si rendono necessarie. Se la signora Englaro ha dichiarato e deciso che la condizione di come vegetativo non rientrava nei suoi orizzonti di vita perché noi dovremmo opporci? Non sono cose che ci riguardano. E’ una decisione personale e ben venga. La signora Englaro non è un medico né un padre spirituale, ma ha espresso una volontà in uno stato laico che deve assicurare la laicità dove richiesta così come l’apporto religioso dove richiesto. La signora Englaro, nel pieno delle sue facoltà mentali, ha maturato un suo ideale di vita che noi dovremmo rispettare sia che lo si condivida o meno. La signora Englaro probabilmente non avrebbe mai pensato di vivere un dramma simile ma aveva espresso il suo volere in merito. E allora sia fatta la sua volontà perché il dramma è suo e solo suo. Se lo vivessimo noi in prima persona è molto probabile che adotteremmo un insieme di idee alla ‘meno peggio’. Se la signora Englaro avesse espresso il desiderio di essere tenuta in vita nessuno si sarebbe mai dovuto permettere di far cessare la sua esistenza in quanto quello era il suo volere. E viceversa.

    Di entrare nelle vicende giudiziarie non mi interessa ed affrontare temi trascendentali non è quello che intendo fare. Perché il caso è complesso e difficile e forse non ci sono soluzioni.

    Però mi preme ricordare semplicemente che il dramma non è il nostro, ma di chi lo vive. Non si può obiettivamente pensare di poter dire a chi vive un certo tipo di esperienza come e cosa scegliere. E’ anacronistico nonché irrispettoso della sensibilità e dignità di chi vive certi drammi. Eppoi ci vuole della semplice e sana collaborazione tra esseri umani perché chiunque può ritrovarsi con l’acqua alla gola e in quel momento nessuno vorrebbe al proprio fianco degli inutili grilli parlanti che teorizzano e teorizzano mentre lì c’è tua figlia, il tuo compagno, la tua amica in certe condizioni.

    Da cittadina di uno stato laico accetto la decisione della signora Englaro; non perché io categoricamente condivida il suo punto di vista, ma perché il mio stato mi garantisce (e spero possa garantire) la libertà di poter scegliere le mie azioni in casi così complessi come questo. Perché la dignità è personale e ognuno decide come giocarsela senza che altri debbano manipolarla. E l’accetto, qualunque essa sia, fino a che quel tipo di scelta non venga a ledermi personalmente e perché io non voglio che gli altri decidano per me. Perché io non sono loro e loro non sono me.

    E dunque chi crede preghi pure in silenzio e chi non crede stia semplicemente zitto e lasciamo che gli interessati decidano. Poi ognuno se la vedrà o col padreterno o con madre natura. E nemmeno questi sono fatti nostri.

  • That’s Schifezza! Anche se…


    L'iter è ormai sempre lo stesso: va in onda un nuovo reality show ed ecco piovere dalla bocca di tutti – nessuno escluso - un insieme di critiche negative sia sul conto del format che sui protagonisti. Ma si sa, i reality sono figli dei nostri tempi, ed ogni tempo ha i divertimenti, i piaceri e i passatempi che si merita. Questo è il tempo dell’estremo voyeurismo mediatico, il tempo di chi, invece di costruirsi un’esistenza sociale, preferisce prenderne una in prestito da una pay per view, perché l’investimento monetario gli permette di spendere nulla in intraprendenza, faccia tosta e coraggio, necessari nel momento in cui si supera la soglia di casa. Fermiamoci un attimo. Quale profonda motivazione può avere una persona mediamente intelligente nel guardare un reality? Solo una: sesso. Perché è tutta lì la questione: si cercano le tresche, i tradimenti, scene hot più o meno velate e così via. La cosa in sé è normalissima, non fosse altro che la componente biologica fondamentale della nostra natura è appunto il sesso con tutte le sue varianti e particolarità. Però, quando da lassù o da laggiù, Qualcuno decise di miscelare tutti gli elementi chimici che ci dettero vita modellando anche i nostri istinti, aveva previsto che le nostre reazioni chimiche dovessero verificarsi face to face, non semplificarsi drasticamente attraverso la tv via cavo o una rete cablata.

    E devo anche aggiungere che con quel Qualcuno ci facciamo anche una pessima figura.

    Siccome io sono il ‘nessuno escluso’ che non risparmia critiche, e visto che per anche io per trend devo biasimare i reality, ecco la mia insana, inutile ma pragmatica critica: quei soldi che si spendono per la pay per view, non si possono investire in un essere umano (o più esseri umani) in carne ed ossa? Quantitativamente parlando il piacere sarebbe molto più intenso, ma poi chissà, la mente umana è così intricata che magari uno studio serio potrebbe dimostrare che gli esseri umani hanno più bisogno di un televisore al plasma per risvegliare la loro libido che persone in carne ed ossa… mai escludere niente quando si parla di mente umana.



    Uno dei reality più angoscianti è sicuramente That’s Amore, i cui telespettatori sono l’emblema del fallimento del disegno divino che prevedeva reazioni chimiche in comunità. Il telespettatore è talmente catturato dal protagonista alle prese con le ragazze che forse dimentica che fuori ce ne sono a migliaia; e dal canto suo la telespettatrice, infatuandosi del pollastro di turno, crea in qualche ripostiglio della sua mente quello che teoricamente risponderebbe al modello del suo ‘tipo ideale’, credendo che nel corso della propria vita non troverà mai un uomo “gagliardo” come quello della tv.



    Il contenuto del reality è noto a tutti, per cui tralasciamo. Che i luoghi comuni sugli italiani abbondino è dir poco, ormai siamo abituati, ed è inutile sprecarci in parole che contrastino questo modo di utilizzare l’italianità. C’è solo una cosa da notare: se nelle pubblicità e film (almeno quelli recenti) l’italiano dipinto non è mai davvero un italiano, in questo caso l’attore è drammaticamente italiano e di importazione. E su questo punto inviterei a riflettere.



    E poi, insomma, take it easy un po’ tutta la faccenda. Che sia stato utilizzato lo stereotipo dell’italiano è probabilmente solo un caso. La produzione avrà fatto le sue indagini di mercato ed avrà dedotto che l’italiano è una risorsa economica da poter sfruttare, e il successo dello show ne è la dimostrazione. Lo stereotipo a volte non è solo negativo, ma anzi, se si prendesse la questione con uno spirito diverso, potremmo anche ipotizzare che potrebbe apportare qualcosa di positivo, almeno dal punto di vista economico. Esempio: acquisto di prodotti italiani; tutti quei prodotti della cucina italiana che fanno da scenografia trash al set del reality vi sembrano poco? Inoltre c’è un episodio del reality in cui il gregge femminile va a pascolare nel paesino natale del Nesci; assistendo a tutto ciò di sicuro sarà scattato nella mente di qualche spettatore l’idea di organizzare un pellegrinaggio nel paese del proprio idolo, trasformandolo magari in tour del nostro paese. Queste cose accadono spesso e sono la nostra fortuna. Dunque, se qualcuno dall’estero viene ad incrementare le vendite dei nostri prodotti o viene a casa nostra a trovarci perché ha visto un reality, a noi cosa interessa? L’importante è che ci porti le sue risorse economiche. Inutile essere moralisti e moralizzatori, in quanto in qualche modo dobbiamo pure campare e sopravvivere. E se con lo stereotipo dell’italiano ci mangia tutto il mondo perché non ci dovrebbe mangiare anche l’Italia?



    Dunque, bravo Nesci che si è creato una posizione economica con questo lavoro perché d’altra parte un giovane che voglia cimentarsi nel mondo dello spettacolo può fare ben poco pure con tante capacità innate; buon per lui che si diverte (ed insomma, ammettiamo anche che la maggior parte degli uomini vorrebbe trovarsi al suo posto anche se lo nega: anche se il programma è trash quindici donne sono sempre quindici donne!). L’unica cosa di cui lo pregherei è di evitare inutili paragoni con il signor Marcello Mastroianni. Perché si parla di persone diverse, vite diverse, personalità diverse, tempi diversi. Non esiste nessun punto in comune con il signor Mastroianni, assolutamente nulla, ed anzi, il paragone mi sembra ridicolo ancora prima che vergognoso.

     

    E comunque - adesso una nota estremamente personale - se ‘il nostro’ Domenico Nesci si paragona a questo grande e meraviglioso uomo del passato – e i più gli danno anche ragione - la mia autoconvinzione di essere nata nella decade sbagliata si alimenta sempre più.

     

  • Donne ed uomini alle prese con i campionati di calcio


    Si mormora che un giorno di tantissimi anni fa Winston Churchill abbia pronunciato la seguente frase: «Gli Italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre». Io ora cosa potrei aggiungere? Non ero presente ai tempi della guerra e quindi non potrei né confermare né obiettare, ma riconosco che Churchill fu un grande osservatore. Ma si sa che il mio popolo è – per così dire – molto emotivo anche in campo sportivo. Però la frase sopra riportata è davvero notevole; personalmente sarei portata un po’ a modificarla, tentando l’identificazione di calcio e guerra nello stesso concetto. Per il cittadino tipo italiano, la nazionale di calcio è l’esercito al fronte, prigioniero in una fangosa trincea di erba molto spesso sintetica, soggetto a tutte le intemperie che il cielo riversa su di esso. Ed eccolo lì schierato il piccolo ma valoroso esercito, composto da ventidue uomini più vari ufficiali (coach e staff tecnico) che sono in terra straniera a difendere l’onore del belpaese. E mentre l’esercito è in trincea a combattere cosa fa l’italiano tipo? Eccolo stravaccato sulla sua poltrona davanti al televisore in compagnia di altri italiani tipi, rimpinzandosi di trash food che più trash non si può; eccolo cantare a squarciagola l’inno nazionale, chiedendosi ancora a quale squadra appartenga la mascotte “elmo di Scipio” di cui non conosce forme e colori; eccolo con una bandiera tricolore sfoderata appositamente per l’occasione che poi riporrà (o meglio che la sua donna riporrà) da qualche parte in casa e che recupererà in occasione del prossimo campionato. L’identikit di tale soggetto è il seguente: italiano, maschio, di età compresa tra i 3 e i 99 anni, appartenente a qualsiasi classe sociale, disposto a riporre  tutti i suoi problemi con il mondo per ben novanta minuti.

    Ma se l’italiano tipo di sesso maschile è decisamente prevedibile, cosa diversa è la donna italiana, anch’essa stranamente catturata dal vortice del campionato di calcio. Ma vi siete mai chiesti come mai? E’ evidente che la donna abbia qualche problema di comprensione della tecnica calcistica: provate a spiegarle cosa sia un fuorigioco; ripeteteglielo in tutte le lingue possibili e fate uno schema in flash e non otterrete alcun risultato perché lei non capirà, perché davvero la sua mente è limitata in questo settore. Ma la donna è molto più pragmatica e furba, e se guarda le partite di calcio avrà i suoi motivi. Gli uomini credono che ciò accada perché in fondo anche loro sono appassionate oppure perché li amano talmente tanto da sacrificarsi a vedere qualcosa che odiano, un po’ come quando loro le accompagnano al cinema a vedere quei dannati film strappalacrime.

    Esistono sostanzialmente tre tipi di donne che guardano le partite di calcio:

       1) la repressa-pragmatica-materialista: questa donna domanda al compagno chi sia il giocatore più pagato del campionato nazionale; fa due calcoli e alla fine, piena di rabbia, lo rimprovera per non aver scelto la carriera calcistica, che è un buon a nulla, incapace, idiota, che non porta soldi a casa, rovinando drasticamente la visione della partita con rottura di cimeli e souvenir;

       2) l’idealista-innamorata: solitamente più giovane della repressa-pragmatica-materialista, innamorata platonicamente (perché non può aspirare di più) di un unico calciatore; fa il tifo esclusivamente per lui, e spera che la nazionale vinca la partita per poterlo rivedere ancora in campo. Immancabilmente questa donna sarà rimproverata dal compagno, il quale le ricorderà che il calciatore, se anche si materializzasse davanti a lei, non se la filerebbe per niente. Lei comincerà a piangere e a chiamarlo egoista e che non è colpa sua se lui non fa il calciatore, rovinando anche in questo caso la vista della partita;

       3) la frigida-annoiata-del-teleschemo: è il tipo di donna più pericoloso; lei guarda il televisore ma non se ne frega assolutamente nulla di quello che accade. Nel migliore dei casi si addormenta e si sveglia quando il compagno urla nelle azioni in area di rigore. Nel peggiore dei casi, se la visione della partita è in comitiva, può intrattenere una tresca in cucina con un amico del compagno meno interessato al televisore, e quindi mentre il compagno si dimena per novanta minuti a parlare con un televisore, perde la percezione della realtà, dimenticando di avere una cucina. Ma è bene sottolineare che questa tipologia di donna non rovinerà la visione della partita, quindi tutti felici e contenti!

    Ad ogni modo, tutte queste donne (tranne il caso 3.2 della frigida-annoiata-del-teleschermo in ben altre faccende affaccendata) hanno comunque un minimo comune denominatore che le lega: la visione di ventidue giovani uomini fisicamente perfetti. E che volete che se ne importino di chi vince e chi perde e del fuorigioco? Che gli uomini guardino pure un pallone che vola da un’area di gioco all’altra, che tanto ai dettagli ci pensano le compagne.

  • Elogio della "monnezza"


    I miei corregionali campani non hanno spirito di osservazione. Troppo impulsivi. Si fermano alle apparenze e non hanno il coraggio di andare oltre ciò che i loro occhi vedono di sfuggita, tra un corteo e una pizza. Incoscienti!

     

    Se si fermassero un attimo a guardare i nuovi paesaggi che li circondano si renderebbero conto dei benefici che la monnezza ha apportato loro in questi ultimi tempi, in termini paesaggistici e di evoluzione faunistica. Che si tratti di monnezza costituita da rifiuti solidi, liquidi, speciali, tossici, smaltiti a norma o non a norma di legge non ha importanza: il beneficio c’è sempre ed è evidentissimo.

     

    Purtroppo i corregionali hanno in testa l’idea che la monnezza faccia male e prestano troppa credibilità ai rumours cattivi di chi si ostina, in maniera decisamente impertinente e maleducata, a voler asserire con fermezza che questo ‘shakeraggio monnezzaro’ sia dannoso per la salute. Bene, diciamo pure che qualche fastidio è anche possibile, in quanto cambiamenti biotermici sono fattibili, soprattutto con il cambio di stagione. Che le falde acquifere si intingano leggermente con acidi di importazione nord-italica non sarà la fine del mondo! Tanto ormai abbiamo imparato a bere l’acqua minerale di importazione che nasce da falde acquifere che non abbiamo conosciuto di persona, e se pure ci facciamo una doccia, l’acqua la mischiamo al sapone e di sicuro l’effetto nocivo iniziale si placa con il ph dei detergenti; che l’aria odori al pari del vostro frigorifero in cui avete lasciato una fetta di carne, staccato la presa della corrente prima di partire per oltre un mese per un tour delle capitali europee, che volete che sia! Prima o poi il vento soffierà in maniera opposta, no?

     

    Ma è per gli amanti della natura che la monnezza è una benedizione: flora e fauna campane sono cambiate nel corso degli anni e pochi se ne se ne rendono conto. Soprattutto la fauna direi. La monnezza è riuscita in ciò in cui Madre Natura ed allevatori vari hanno fallito o che forse non hanno mai pensato: fondere vegetazioni ed animali della costa e dell’entroterra. Nessuno sembra far caso che la costa è ormai arrivata nell’entroterra, e che questo sembra quasi non esistere più… che sensazione sublime per chi ama il mare ma è costretto a vivere nell’entroterra!

     

    Qualche giorno fa ho trovato due bei gabbiani pienotti appollaiati sulla ringhiera del balcone della mia casetta dell’entroterra. Che bello. Avevo da poco aperto gli occhi dopo una notte in cui avevo dormito pochissimo, ed ancora in dormiveglia ho pensato che il mare si fosse avvicinato alla finestra della mia camera. Un gabbiamo, emblema della libertà, degli spazi interminabili, simbolo del mare e degli orizzonti lontanissimi, della felicità - era lì sul mio balcone, in una pianura campana circondata da montagne. Poi mi sono resa conto di essere più nel mondo dei sogni che in quello della realtà, e una volta svegliata per bene ho pensato che se non fosse stato per la monnezza mai e poi mai avrei potuto vedere i gabbianotti fuori la mia finestra! Per non parlare delle piante e dei fiori che crescono di fianco ai cassonetti della monezza sia nelle discariche coperte con i teloni (sempre squarciati). Tra tutti i fiori spiccano i papaveri, che ovviamente, sarebbero in grado di crescere anche sulla mia mensola piena di polvere, ma l’immagine dei papaveri sui teloni della discarica è assai particolare, decisamente affascinante...

     

     

  • Approfondimento. Louis Prima: jazz Italian style


    L’alchimia di note, parole ed emozioni che Louis Prima sintetizza in ogni sua performance sono il frutto di una storia di vita straordinaria. Il ‘Re dello Swing’ – così sarà ribattezzato a New York negli anni ’30 - nasce a New Orleans nel 1910. Musicista à la mode, ma con una robusta formazione musicale classica impartitagli per volere materno – da bambino aveva infatti studiato violino per molti anni - inizia a sperimentare, in prima gioventù, le allora nuove atmosfere jazz degli anni ’20 che stavano prendendo vita nella sua città, diffondendosi con velocità e fervore in tutti gli Stati Uniti.

    La strada verso la celebrità fu ovviamente difficile da percorrere, non solo a causa delle ovvie difficoltà insite nella scalata al successo, ma anche e soprattutto per via del pregiudizio - forse mai abbandonato del tutto - verso i jazzisti bianchi. A costoro infatti veniva rimproverato di non possedere il background storico-culturale del jazzista per antonomasia, il quale era, in primis, di origini africane e di colore.



    Ma le origini di Louis sono comunque riconducibili oltreoceano; non in Africa ovviamente, ma nemmeno poi tanto lontano. Le sue radici vanno ricercate in Italia meridionale, precisamente in Sicilia, tra comuni e frazioni nelle prossimità di Mazara del Vallo (Trapani) ed Ustica (Palermo). Da una serie di documenti e testimonianze è emerso che nella seconda metà del 1800 la famiglia paterna del musicista viveva ancora in Sicilia, tra i comuni di Salaparuta e Castelvetrano, entrambi in provincia di Trapani. Solo negli ultimi anni del secolo i suoi nonni decisero di abbandonare Trapani nella speranza di un futuro migliore in America. Il padre, Anthony Di Prima, (che poi cambierà il cognome in Prima) nasce dunque in America, ma il legame con la Sicilia rimarrà sempre saldo in quanto alimentato anche dalla madre, Angelina Caravella, nata ad Ustica, ma trapiantata in tenerissima età negli Stati Uniti.



    Louis dunque nasce e cresce nell’ambiente estremamente multietnico di New Orleans, in una famiglia siciliana e all’interno di un’importante e folta comunità italiana meridionale, per la maggior parte originaria di Ustica. La Sicilia e l’Italia sono sempre presenti in tutta la sua carriera artistica. Delle sue origini non farà mai mistero, ricordandole al suo pubblico sia durante i concerti, sia arricchendo i testi delle sue canzoni con parole ed espressioni italiane e siciliane. Ed è forse per questo che ha conquistato l’affetto di molti e che oggi, a trent’anni dalla sua scomparsa, la sua celebrità non accenna a diminuire. Un uomo dotato non solo di intuito, bravura ed indiscutibile talento, ma che diventa anche l’emblema dell’immigrato italiano del sud che riesce a realizzare il “sogno americano”. Una realizzazione che però non è solo legata all’arricchimento economico personale, ma un arricchimento che è anche culturale e collettivo, apportando un chiaro e notevole contributo nel panorama artistico-musicale di cui potrà giovare l’intera America o forse più, contrastando al contempo anche il classico stereotipo dell’immigrato italiano.


    E partendo proprio dalla sua sicilianità e dal suo abile missaggio tra lingua inglese, italiana e siciliana, proponiamo una playlist organizzata nel nostro canale di YouTube. 

    Il primo pezzo di cui si invita all’ascolto è “Angelina” (composto nel 1944) che racchiude in sé tutto il breve discorso che si è cercato di portare avanti in questo breve intervento. Il pezzo racchiude le radici musicali e culturali di Louis che approssimativamente possiamo elencare nel seguente modo: Sicilia, Italia, America, jazz e swing.

     

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