Articles by: Walter De berardinis

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    Un'incredibile storia. Tra Abruzzo e America. Addio al giornalista Lino Manocchia

    Giulianova, 4 marzo 2017. A New York, intorno alle 10,00 del mattino, le 16,00 italiane, è scomparso il decano dei giornalisti giuliesi e italo-americani, Lino Manocchia. Ne danno notizia i familiari, la direttrice della casa editrice “Artemia” di Mosciano Sant’Angelo, Maria Teresa Orsini e il collega di giulianovanews.it, Walter De Berardinis, amico personale del giornalista giuliese. Nonostante avesse da poco compiuto 96 primavere, l’anno scorso ancora dialogava via cavo e skype con la direttrice e i collaboratori della Artemia editrice, con cui si stava lavorando per l’ennesimo lavoro editoriale che seguiva lui stesso da New York.

    Sono addolorata – afferma Maria Teresa Orsini – un giornalista dai modi cortesi e affabili. Una grande personalità e caparbietà, dovuta – continua la Orsini – al fatto che aveva perso il papà (il giornalista Francesco Manocchia) sotto i bombardamenti degli angloamericani a Giulianova nel 1943/1944; ed era reduce dalla prigionia in Germania, dopo essere stato sul fronte balcanico. Abbiamo perso – conclude Maria Teresa – un grande italo-americano, sicuramente nei prossimi mesi lo ricorderemo come giusto che sia per le grandi personalità.

    Anche il collega Walter De Berardinis lo ricorda così: alla fine del 1998 e gli inizi del 1999, in qualità di redattore del quotidiano online giulianova.it, di proprietà della società “Genesi” di Marco De Merulis, decidemmo di dedicare una rubrica da New York con il grande Lino Manocchia e successivamente emigrò nella mia testata giulianovanews.it; poi seguì la biografia mia e quella della scrittrice Alida Scocco Marini e successivamente due libri “Lino e il microfono” (le sue migliori interviste con i grandi dell’epoca) e “Quando c’era la guerra” ( dove si ricordava il papà nella 1° guerra mondiale), entrambi editi dalla Artemia editrice di Mosciano Sant’Angelo. Perdo un amico, un collega ed anche un pezzo di storia giuliese.

    Frequenti e notturne, le tante telefonate che Lino mi faceva perché dimenticava il fuso orario tra New York e Giulianova. Devo ringraziare il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Stefano Pallotta, che durante il premio “Polidoro” a L’Aquila ci consegno una targa d’argento alla carriera per Lino Manocchia. Mi dispiace che le varie giunte regionali abruzzesi, nonostante mie sollecitazioni, non attribuì mai la prestigiosa medaglia “Aprutium” premio dedicato agli abruzzesi che si sono distinti fuori dai confini nazionali.

     

     

     

    “...Le avversità possono essere delle formidabili occasioni"
    Thomas Mann, scrittore (1875-1955)

     

    Lino Manocchia - La sua biografia. Tra Abruzzo e America.  Una storia difficile. Il suo lavoro di attento giornalista

     

    Pasquale, Omero, Marino Manocchia, per tutti Lino, nasce all’alba (3,00) di un freddo mattino a Giulianova alta il 20 febbraio del 1921, nell’abitazione di Via XX settembre (centro storico) è il primogenito del giornalista e scrittore, il Cav. Francesco Manocchia, poi scomparso nel bombardamento su Giulianova del 29 febbraio del 1944, e di Filomena Spadacci, d’origini toscane. Quel giorno, davanti all’ufficiale dell’anagrafe si presento il papà Francesco con due suoi amici come testimoni: Tommaso Lattanzi, impiegato e Pasquale Galantini, proprietario. Dal matrimonio di quest’ultimi, nacquero anche i suoi tre fratelli: Franco, giornalista del Corriere della Sera; Omero (poi morto per malattia a 17 anni) e Benito (per tutti Benny), corrispondente della Rusconi dagli USA. In realtà il vero nome di Lino è Pasquale (nome del nonno paterno), Omero (nonno materno) e Marino (lo zio paterno di Pittsburgh). Anche se in famiglia lo chiamavano tutti con il diminutivo di Pasqualino, ma per tutti era semplicemente, Lino. L’infanzia a Giulianova viene vissuta soprattutto con i nonni paterni, Pasquale, noto calzolaio della città (poi morto all’età di 94 anni) e della nonna, Lucia Macellaro, casalinga (abitavano dietro l’odierna scuola elementare Edmondo De Amicis, in Via Diaz). Si narra che aveva accarezzato il sogno della vita eclesiastica tanto da costruirsi un altarino in casa dove recitava preghiere e andava a suonare le campane nel vicino Duomo di San Flaviano. Tanto fu che il padre in una delle tante trasferte romane per lavoro contatto personalmente il cardinale Alessio Ascalesi (Afragola, 22 ottobre 1872 – Napoli, 11 maggio 1952) per farlo entrare al seminario di Teramo dove rimase solo due anni. Non mancheranno le occasioni per frequentare i nonni materni in Toscana, nel borgo di Montefollonico, frazione del Comune di Torrita di Siena ed anche a Montepulciano, dove viveva la zia, sposata con un ricco commerciante di stoffe.

    A Giulianova, gli amici più cari che frequentava erano: Carlo Marcozzi (poi sposato con la Branciaroli), Guido Pompei, Renato Campeti, Ernesto Ciprietti, l’affezionato Giancola e poi Giorgio De Santis, figlio del Sindaco, il geometra Bruno Solipaca, Dante Paolini (giocatore di serie A negli anni 40’/50), Poliandri, Rossi, Epimerio Taffoni, quest’ultimi noti sportivi giuliesi. Intanto il padre, cerca di investire i suoi risparmi nell’ acquisto di una cartoleria/edicola in città ed anche un piccolo appezzamento di terra. Nel frattempo la famiglia si sposta, vicino alla Chiesa di Sant’Anna, dietro il Torrione ed infine, alla fine degli anni ’30 nel palazzo dietro il Comune, dove viveva anche Renato Morganti, padre della sua maestra Maria. Finite le scuole del regno, si iscrive al Regio Istituto Tecnico Industriale “Raffaele Pagliaccetti in  Piazza Vittorio Emanuele II (oggi Piazza della Libertà), diretto dal Dott. Marucci. Alla fine degli anni ’30, quasi diciottenne, ebbe modo di conoscere e frequentare l’Avv. Attilio Re. Le prime battute dell’Avvocato furono profetiche: “perché non scrivi come tuo padre francescuccio, scrivi sul nostro Giulianova calcio.

    Se sbagli ti aiuto io”. Arrivò quel giorno, la squadra vinse e dovette mantenere la parola data. Poco dopo si recò al Caffè di Germano, nel cuore di Corso Garibaldi, l’Avvocato lesse l’articolo ed approvò. Scese in tutta fretta le scalette che conducono al lido e trasmise, con l’unico telefono pubblico, tutto l’articolo alla redazione. Quel primo articolo gli consentì di prendere la tessera d’ingresso al campo. Il padre, severo, insistette per non farlo continuare, è gli ripeteva sempre: “ con questo mestiere ci si muore di fame”. Ma lui serafico rispondeva: “Ma papà, tu sei un morto di fame!”. Poi iniziò le cronache della famosa Coppa Alleva, in occasione della festa della Madonna dello Splendore del 22 aprile e la sua partecipazione a bordo della splendida Lancia Lambada di Pierino De Felice, con tanto di premiazione con la banda di Introdacqua, diretta dal noto maestro Di Rienzo. Poi tutte le cronache del calcio giuliese: vero, vivo, combattuto sempre nella lealtà, quello di Paolini, Taffoni, Poliandri, Rossi, contro squadroni del calibro della Maceratese, Sambenedettese, Fermana, Teramo, Chieti, Vasto ed altre.

    Strano destino quello di Lino, un bel giorno la sua famiglia ricevette dai due fratelli paterni (Gino e Marino Manocchia, proprietari di una fabbrica di tabacchi in Pennsylvania) i biglietti che li avrebbe portati in America. Ma la nonna, Lucia Macellaro, di instabile salute, convinse suo padre a restare a Giulianova.

    Con l’avvento del Fascismo, ma anche durante la sua formazione scolastica, partecipò con i movimenti giovanili dell’epoca. Con il tema “Guardo in alto, ammiro e penso”, partecipò agli Agonali Fascisti per le scuole giuliesi, piazzandosi ai primi posti. Poi ci furono le selezioni provinciali a Teramo. Arrivò prima, ma dopo un consulto della giuria, fu retrocesso al secondo posto con un diploma e il primo premio andò al nipote di un funzionario di stato. Si presentò anche agli Agonali sportivi della provincia, partecipò ai cento metri con un paio di scarpette bianche da ballo, mentre il rivale teramano, Lanciaprima, arrivò prima, ma con delle vere e proprie scarpe da ginnastica. Mestamente di accontentò del secondo posto tra gli applausi dei presenti. Dopo la fine della scuole superiori, trovò posto a Torino come supplente (Italiano e Tecnologia).

    Finito il periodo torinese, il padre lo iscrive al Regio Collegio Aeronautico “Bruno Mussolini” di Forlì, per istradarlo ad una sicura carriera militare nella Regia Aeronautica Italiana. Un bel giorno, in visita al Regio Collegio, arrivò il Duce in persona, da buon giuliese si fece avanti per stringergli la mano. Al termine della visita ufficiale, il redattore dell’EIAR (l’agenzia di stampa governativa) dettò il resoconto della visita, ma il suo collega aviere, preso dall’emozione non riuscì ad affilare una parola. All’ora il Colonnello lo chiamò e gli chiese di trascrivere il resoconto. Poi, dopo la stesura, lo stesso Mussolini lo visionò e si congratulò con lui e chiese chi era quel bravo ragazzo. Quando rispose con nome e cognome, il Capo del Fascismo sorrise ed esclamò: “…sei il figlio di Francesco?”. Infatti, il padre, allora era il corrispondente da Teramo per il “il Popolo d’Italia”, il quotidiano del Partito Nazionale Fascista. Poco dopo, allo scoppio la guerra, inquadrato nella Regia Aeronautica Italiana, verrà trasferito a Mostar, nell’ex Jugoslavia. Ebbe modo di incontrare con il concittadino, Elio Fracassa, già esattore delle giocate delle lotterie di stato. Dopo la resa dell’Italia dell’8 settembre, e dopo una lunga odissea dentro i vagoni merci, come giovane sottotenente, fu internato in uno stalag nelle zone di Francoforte sul Meno, in Germania. L’internamento era stato così duro, che anche oggi fatica a ricordare quei terribili giorni di sofferenza.

    Dopo tre anni di dura prigionia, viene rimpatriato, ma fa l’amara scoperta che suo padre è morto a causa di un ennesimo bombardamento angloamericano su Giulianova. La bomba, caduta il 29 febbraio del 1944, aveva centrato in pieno il palazzo (dietro l’odierna sede comunale). Morirono molti condomini e per fortuna si salvarono la Madre e i suoi tre fratelli. Tra l’altro, uno dei fratelli, Benito, fu colpito da ben 30 schegge. Poi gli anni duri della ricostruzione, venticinquenne, con una vita tutta da inventare, con i primi lavori con il Comune di Giulianova, organizzando eventi per le feste d’estate, un modo per aiutare la madre ed i suoi tre fratelli più piccoli. Innamoratosi della sua concittadina, Ada Di Michele, figlia di emigranti italiani già negli USA, nata nell’Ohio, sfocerà in matrimonio il 15 luglio 1948, nella parrocchia del lido. Intanto aveva ripreso le collaborazioni con diverse testate giornalistiche italiane, molte delle quali dirette dai colleghi di suo padre Francesco. Ma anche a livello locale seguiva le vicende della sua città. Come quella dell’Avv. Riccardo Cerulli, che voleva “annettere” la frazione di Cologna (Roseto degli Abruzzi) a Giulianova.

    Poi la battaglia giornalistica in favore della salvaguardia dell’ex Colonia Rosa Maltoni Mussolini. C’erano anche le grandi serate al Kursaal, dove allestiva delle splendide serate con cantanti, sfilate di Miss, orchestre e balli, tutto intorno al mitico Trenino di Santa Fè, un trenino dove venivano approntati dei mini locali per servire gli avventori; successivanete cambio nome in “Il Calipso Fiorito” e poi la famosa “Lanterna Blu”; dove si esibirono i migliori cantati dell’epoca: Mina, Jula De Palma, Peppino Di Capri, Nicola Arigliano, Nico Fidenco, ecc. Nonostante l’impegno e la voglia di riscatto, per Lino si profilava la via dell’espatrio per accarezzare il sogno americano. Era nei primi giorni di marzo del 1949, quando, con il piroscafo Vulcania si imbarcò a Napoli insieme alla moglie (tratta Genova-Napoli-New York) alla volta degli USA. Salutò Giulianova con una serata indimenticabile a casa di Bruno Solipaca ed in compagnia di Giorgio De Santis, Dante e Renato Granata, Claudio Gerardini, Carlo Marcozzi e Renato  Lattanzi.

    Arrivato a New York, visse un periodo nel Bronx, nel quartiere “Piccola Italia”, poi nella zona del Westchester, oggi nota zona residenziale. All’inizio si arrangiava facendo il macellaio con il suocero (già cittadino americano), ed inseguito, con un cuoco sorrentino aprì un ristorante “da Capri”. Uscito fuori dal mondo della ristorazione, per via degli inizi di collaborazioni con la “Voice of America” e anche come corrispondente dall’estero per giornali italiani. Iniziò anche con la tv americana, presentando un programma televisivo settimanale sulla rete “Wevd” e uno radiofonico sulla “Whom”. Mentre, si stavano aprendo le porte dei famosi studios americani con le “prime” mondiali del mondo della celluloide. Numerosi e tanti, furono gli attori ed attrici che ha intervistato e conosciuto dei quali conserva ancora preziose foto. Ha incontrato ed intervistato personaggi come: Frank Sinatra, Dean Martin, Perry Como, Rocky Marciano, Juan Manuel Fangio, Mario Andretti e tanti altri illustri personaggi. Durante il lavoro con Voice of America, Manocchia ha avuto modo di intervistare cinque Presidenti americani: Eisenhower, Kennedy, Johnson, Carter e Clinton.

    Manocchia trovava anche il tempo per inviare, tramite la Voice of America, servizi regionali per l’Abruzzo, con la Rai di Pescara, allora diretta dal noto giornalista Dino Tiboni. Iniziò come corrispondente del “Messaggero” di Roma, il “Secolo XIX” di Genova, la “Gazzetta di Mantova”, ed altri. Poi l’incontro con il grande giornalista Luigi (Gino) Palumbo che lo portò a “Sport Sud” e poi al “Corriere della Sera”, dove collaborò per nove anni, per poi passare alla “Stampa” di Torino. E’ stato anche cofondatore di “Stadio” di Bologna, assieme a Remo Roveri ed altri, poi divenuto “Stadio-Corriere dello sport”, la cui collaborazione continuò anche dagli Stati Uniti con interessanti reportage.

    E’ stato inviato speciale di importanti testate, narrando della “SAC”, la Linea aerea strategica degli Usa, un paio di lanci di satelliti in coppia col compianto collega Ruggero Orlando, ricevendo anche dalla Commissione della Rai il più alto elogio per una sua trasmissione sull’anno geofisico. Senza trascurare di intervistare tanti abruzzesi in America, narrando le loro “odissee”. Corrispondente ventennale con i settimanali automobilistici “Rombo” (con il giornalista teramano  Marcello Sabbatini, recentemente scomparso), “Autosprint” e “Controsterzo”, ora concentra la sua attività, malgrado le numerose primavere, ancora pubblica i suoi lavori su Internet. La sua famiglia è nata nel giornalismo, dopo Lino, emergono Franco, ex redattore del “Corriere della Sera” e poi Benny (Benito), anch’egli dagli Stati Uniti per la “Rusconi”. Manocchia ha avuto numerose offerte per scrivere qualche libro sulla sua attività americana e soprattutto sui 40 anni ad Indianapolis” la famosa 500 miglia, la corsa più spettacolare del mondo. Oggi Manocchia vive a Cambridge nello stato di New York, insieme a suo figlio Adriano (sposato anche lui con la giuliese, Teresa Schiavi), noto artista e suo nipote Adriano Jr, manager del reparto ricerche della Cornell University di Ithaca a New York. Nonostante l’età, sfidando spesso i disagi dei voli aerei, segue le varie manifestazioni motoristiche delle quali è un noto esperto, incontrando famosi attori americani, appassionati di motori, una passione nata da un’intervista a Tazio Nuvolari, prima di una Coppa Acerbo a Pescara. A cavallo della fine degli anni ’90 e gli inizi degli anni 2000 inizia una fitta corrispondenza via mail e via cavo con il sottoscritto, poi sfociata nella collaborazione con il mio giornale giulianovanews.it e successivamente con il giornale online diretto dal collega Ludovico Raimondi, giulianovailbelvedere.it. Successivamente inizia le collaborazioni abruzzesi con News Italia Press; la Gazzetta del Sud africa; primadanoi.itabruzzopress.info del collega Marino Solfanelli,  Nell’aprile del 2008, proposi un riconoscimento pubblico a Lino tramite la Regione Abruzzo con il premio Aprutium e al Comune di Giulianova, con una targa di riconoscimento, ma senza esito in entrambi i casi. Nel dicembre 2014 fui più fortunato, grazie alla mia proposta e all’impegno profuso del Presidente dell’Ordine dei giornalisti d’Abruzzo, Stefano Pallotta e la commissione giudicatrice della XIII edizione del Premio Polidoro ritenne di assegnare un encomio per la carriera al “nostro” Lino Manocchia. La cerimonia di premiazione si svolse venerdì 12 dicembre, presso l’auditorium Bper a L’Aquila con la prestigiosa presenza del Presidente onorario dell’Accademia della Crusca, Prof. Francesco Sabatini e la presenza delladirettrice della Artemia, Maria Teresa Orsini che ritirò il premio. In realtà a Lino il 24 ottobre 2013, a Giulianova, durante la presentazione del suo volume  dal titolo “Lino e il microfono”, fu omaggiato dalla sua Giulianova grazie proprio alla casa editrice Artemia Editrice diretta da Maria Teresa Orsini. Oltre agli innumerevoli riconoscimenti durante la sua professione ricevuti nella sua straordinaria carriera, Manocchia, il 23 aprile 1946, a firma del Ministro della Casa Reale Lucifero Falcone (Falcone Lucifero dei marchesi di Aprigliano (1898-1997)), fu nominato Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia.

    Oltre all’encomio, anche la la mia testata online www.giulianovanews.it ha ritenuto di omaggiare il giornalista giuliese con una targa di merito consegnata a L’Aquila nel 2014, che recita la seguente frase: “al decano dei giuliesi Lino Manocchia, dedico questa frase di Enzo Anselmo Ferrari (Modena, 18 febbraio 1898 – Modena, 14 agosto 1988) “Sono i sogni a far vivere l’uomo. Il destino è in buona parte nelle nostre mani, sempre che sappiamo chiaramente quel che vogliamo e siamo decisi ad ottenerlo.” Con l’opera “La lotteria, un campo tedesco per prigionieri di guerra” al commendatore Lino Manocchia vinse il premio “MONTEFIORE NEL MONDO”, era il 28 Settembre alle ore 15.00 presso il Teatri Malatesta di Montefiore Conca. Da non dimenticare le uniche due biografie pubblicate su Lino: una del sottoscritto sull’annuale storico “Madonna dello Splendore” e successivamente dall’amica e collega, Alida Scocco Marini nel secondo tomo di “Conosciamoci e facciamoci conoscere”; Poi lAccademia Culturale Internazionale di San Giovanni Crisostomo, presieduta dal Presidente, Giuseppe Del Zoppo il 17 agosto 2013, presso la sede del Centro Culturale San Nicola a Pescocostanzo (AQ), in occasione del Premio culturale Internazionale, “ SAN GIOVANNI CRISOSTOMO “ premiarono me e Lino per l’attività giornalista

    Lino Manocchia: "Rifarei tutto, ma cancellerei i dolori della guerra". Mentre scrivevo questo breve profilo biografico, gli ho chiesto: ricominceresti da capo senza cambiare nulla? Lui mi ha risposto: "Certo che accetterei. Ma cancellerei la parentesi della prigionia in Germania e la perdita di mio padre sotto le bombe. La vita mi ha dato tanto ed io le sono grato insieme alla Provvidenza che mi ha guidato, aiutato e sorretto,  facendomi acquisire una esperienza favolosa. Ringrazio anche il dono della capacità di volgere in gioco le più crudeli avversità di comunicare col pubblico, in un sapiente dosaggio di ruoli. La mia vita è un romanzo multicolore, bello, reso affascinante dalla moltitudine di soggetti incontrati e trattati.” Credo, alla luce di quanto raccontato, che questo illustre giuliese, ultra 90enne ed ancora in attività, abbia una miscela esplosiva di estro e di calcolo, di impulsività e scetticismo, condito dalla spregiudicatezza che accomuna molti giuliesi conosciuti fin adesso. Eppure non c’è stato interlocutore più amabile, agguerrito e conversatore come lo è lui. Uno che si reputa “artigiano” della penna. Un cronista chiaro nell’esposizione dei fatti raccontati. Che magnifico istrione questo Lino Manocchia,  nato a Giulianova quasi 96anni fa. Credo che la Città di Giulianova lo debba onorare con un encomio pubblico per aver portato il lavoro e la laboriosità di noi giuliesi fuori dai confini nazionali e con la speranza che lo faccia il CRAM Abruzzo per un abruzzese che ha onorato la sua regione.

    Non so se farà piacere e se leggera questo mio pezzo Lino, il “monello” come lui e il collega Ludovico Raimondi amano spesso chiamarmi, spera che i posteri possano in seguito rileggere e riscoprire chi della giuliesità prima e l’italianità dopo, ha dimostrato di farsi valere fuori dai confini regionali; mentre scrivo quest’ultime righe penso a mio fratello Arino che ha dovuto emigrare per realizzarsi niente di poco meno che a Tokyo e alla sfortunata sulmonese Fabrizia Di Lorenzo che aveva appena accarezzato il sogno di realizzarsi fuori i confini nazionali. Non me ne voglia Lino, ma a queste due ultime persone va il mio pensiero di abruzzese e giuliese.

     

    *giornalista e fondatore della testata giornalistica giulianovanews.it 

     

  • Cimitero di Mose
    L'altra Italia

    Flaviano Di Donato. Un giuliese nell’esercito degli Stati Uniti d’America

    Dopo oltre 100 anni dallo scoppio della prima guerra mondiale (1914-1918) e mentre conducevo le ricerche sui caduti giuliesi (ad oggi 122 nominativi censiti) poi pubblicati a corredo della ristampa del libro del giornalista giuliese Francesco Manocchia “Quando c’era la guerra” (Artemia edizioni di Mosciano Sant’Angelo), ho avuto modo di approfondire la vicenda del caduto Flaviano Di Donato che, oltre ad non avere un proprio foglio matricolare, compariva solo sulle liste di leva del Comune di Giulianova, nell’elenco marmorizzato posizionato sulla facciata del duomo di San Flaviano e nel famoso Albo d’Oro dei caduti della 1a guerra mondiale come soldato nel corpo di spedizione americano. Flaviano Di Donato nacque a Giulianova il 13 febbraio 1892, alle ore 21.15, in una casa in via per Mosciano (località Colledoro), figlio di Domenico (1861- 1933), bracciante e Pasqua Ottavianelli (1861-1944) anche lei bracciante (poi nella sentenza del Tribunale di Teramo 26 ottobre 1915 e con la rettifica in Comune del 30 ottobre 1915, cambierà in Anna Ottaviani/o). Nel 1888 nacque Biagio, Splendora (1890-1979), Francesco (1894-1969), Amalia (1895, che sposerà Nicola Borghese il 6 febbraio 1919), nel 1901 Rosaria, Alessandro (1904-1973), Addolorata (1899-1918, morta per la spagnola a 18 anni), Loreta 1907 e Maria di cui non è stato possibile reperire la data esatta di nascita; il giovane Flaviano con i fratelli e le sorelle aiutava la famiglia nei campi.

    Il 16 aprile 1912, a seguito della segnalazione nella lista leva della classe 1892, veniva sottoposto a visita medica presso il distretto militare di Teramo. I medici militari, che trascrissero erroneamente la sua nascita nel mese di aprile, lo descrissero come piccolo di statura (151 cm e torace 0.81), capelli lisci e castani, naso aquilino e storto, mento piccolo, occhi castani, colorito pallido, dentatura sana, segni particolari piccole cicatrici sulla fronte e analfabeta. A ragione della sua bassa statura fu riformato. Nel settembre del 1913, insieme ad altri suoi amici giuliesi, decise di espatriare per tentare la fortuna in Nord America; partì alla volta di Napoli per imbarcarsi tra i 2.354 passeggeri (300 in prima e seconda classe e circa 2000 in terza), sulla nave Prinzess Irene della società tedesca North German Lloyd società/Sud-deutscher Lloyd degli armatori fratelli Leupold di Genova. Il suo numero passeggeri sarà il 100752050148, settore 243 e cuccetta 28. Il 25 settembre 1913 sbarcò ad Ellis Island, nella baia di New York.

    Una triste vicenda coinvolse il fratello maggiore Biagio che il 21 maggio 1915 partì, dalla sede di pace di Ascoli Piceno, per il fronte arruolato nel 17° fanteria della brigata Acqui. Il 7 giugno la brigata era sul fiume Isonzo sul ponte di Pieris per arrivare a Turriaco. All’altezza dell’altopiano carsico iniziarono i combattimenti (25 maggio-26 giugno) che portarono alla conquista del paese di San Pietro d’Isonzo, con un bilancio di 400 soldati tra feriti e morti. Successivamente il 17° partecipò alla conquista di Cave di Selz e Vermegliano; durante la seconda battaglia dell’Isonzo (18 luglio-3 agosto), Biagio venne ferito alla coscia destra e riportò anche la rottura del femore. Ricoverato a villa Prister, località San Egidio, nell’ospedaletto da campo del VII corpo d’armata n. 93, morì il 25 luglio 1915 a soli 27 anni; fu il cappellano militare don Vincenzo Calcagni, della diocesi di Ripatransone, a dare l’estrema sepoltura nel cimitero degli Eroi di Aquileia a ridosso della famosa basilica di Santa Maria Assunta. Intanto a Teramo Flaviano, il 3 agosto 1915, fu nuovamente chiamato a visita medica e risultò renitente alla leva perché all’estero; richiamato per la seduta straordinaria del 29 giugno 1916 fu segnalato al tribunale militare di Ancona per non essersi presentato a visita di leva.

    A New York, il nostro concittadino Flaviano aveva una stanza in un angusta casa a due passi dal fiume Harlem, nell’omonimo quartiere di Manhattan. In vista dell’entrata in guerra, nel maggio 1917, il Congresso americano varò la legge Selective Service/Draft act con lo scopo di arruolare coattamente tutti i maschi dai 18 ai 45 anni d’età, tramite un’apposita e rigida selezione. Non sappiamo se Di Donato fu costretto o si presentò volontariamente beneficiando del fatto che era stata promessa la regolarizzazione agli emigranti che si fossero presentati spontaneamente presso gli uffici governativi sparsi per la nazione. Non sappiamo neanche cosa gli impedì il ritorno in patria come avvenne per tantissimi italiani richiamati anche da oltre oceano ad arruolarsi nell’esercito italiano; furono forse motivi economici o forse contribuì donando derrate alimentari per i suoi connazionali al fronte come chiedeva un manifesto dell’epoca con il volto del re d’Italia affisso in tutti gli uffici, luoghi di lavoro e circoli ricreativi degli italiani all’estero: “l’Italia ha bisogno di carne, frumento, grasso e zucchero. Mangiate poco di questo cibo perché deve andare al nostro popolo, e le truppe d’Italia. Firmato Amministrazione dei cibi Stati Uniti”.

    Probabilmente il suo nome comparve nel famoso poster-propaganda dal titolo 2285 New Yorkers volunteered in one week-Is your name on this list? che invitava gli emigranti ad andare a combattere per gli USA o su quello dal titolo Americans all! Victory Liberty Loan con i nomi di altri italiani. Alla fine Flaviano Di Donato si registrò all’ufficio locale di reclutamento il 28 aprile 1918, dichiarando come domicilio il numero 172 alla 3a Avenue di New York e come indirizzo di riserva, in caso di decesso, il civico 3939 della 172a Est Avenue dove viveva Nicola Merola, sua carissima amica di origini inglesi probabile per via del nome anglosassone al femminile. Il 15 maggio 1917, Flaviano Di Donato, viene inquadrato nel 58° reggimento fanteria degli Stati Uniti D’America con la matricola 2791726/7 (58th Infantry Regiment US Army) a Gettysburg in Pennsylvania nella quarta divisione di fanteria.

    Nell’aprile 1918 terminò la fase di addestramento a Camp Greene, nella Carolina del Nord. Sotto la guida del generale americano John Joseph Pershing (chiamato Black Jack, Laclede, 13 settembre 1860-Washington, 15 luglio 1948) e con le Forze di Spedizione Americana (L’American Expeditionary Forces-AEF), contingente militare dell’esercito degli Stati Uniti d’America a sostegno delle forze della Triplice Intesa (Francia, Inghilterra e Russia) dopo la dichiarazione di guerra statunitense all’Impero tedesco il 6 aprile 1917, Di Donato partecipò alla 1a guerra mondiale. Nel maggio 1918 il reggimento si trasferì in Inghilterra con la RMS Moldavia, piroscafo passeggeri trasformato in incrociatore mercantile armato che fu affondato il 23 maggio dello stesso anno nel canale della Manica dal sottomarino tedesco SM UB-57. Successivamente il contingente, attraversato il canale della Manica, sbarcò a Calais in Francia, era il 9 giugno 1918. Unitosi con il suo reggimento alla 164a divisione di fanteria francese partecipò alla controffensiva di Aisne-Marne dal 18 luglio al 6 agosto 1918.

    Poi partecipò alla battaglia di Saint-Mihiel tra il 12 e il 19 settembre per sfondare le linee tedesche ed arrivare a Metz; questa fu la prima battaglia i cui gli americani operarono in autonomia senza il coinvolgimento diretto dei francesi. La battaglia finale che portò alla resa dei tedeschi fu quella della Mosa-Argonne dal 26 settembre all’11 novembre 1918 e nota come la battaglia della Foresta delle Argonne lungo tutto il fronte occidentale. Il bilancio fu pesantissimo e tra i 26.277 morti perse la vita anche il giuliese Flaviano Di Donato, morto il 7 ottobre 1918 nel pieno della seconda fase (4-28 ottobre) della battaglia. La battaglia della Foresta delle Argonne è stata ben rappresentata nel film Il battaglione perduto diretto da Russell Mulcahy e interpretato da Rick Schroder e Phil Mckee uscito nelle sale nel 2001. Successivamente alla sua morte, il suo battaglione di fanteria sfondò le difese tedesche (Linea Hindenburg) conclusasi con la Battaglia di Montfaucon in cui il suo Reggimento occupò le città di Moselkern e Coblenza, nella regione della Renania in Germania. Flaviano Di Donato fu colpito sul mento da una mitragliatrice tedesca e, ferito, non fu in grado di raggiungere un luogo sicuro per essere soccorso; fu sepolto temporaneamente nel cimitero di Fays che oggi è un comune francese di 252 abitanti situato nel dipartimento dei Vosgi nella regione della Lorena.

    La prima sepoltura ufficiale fu a Brieulles-sur-Meuse, comune nel Mosa, sempre nella Lorena, nel nord-est francese, con il nome di Floriano Didinato (matricola 2791726, tomba n. 2 fila A3). Brieulles-sur-Meuse oggi è un cimitero nazionale francese, sistemato nel 1920, contiene un gran numero di tombe francesi e alleate. Successivamente la salma fu spostata nel cimitero americano Romagne-sous-Montfaucon, comune francese del dipartimento Mosa-Lorena (area 97, fila 68/2, tomba 1232), questa volta con il nome di Florianno DiDonato. Romagne-sous-Montfaucon è il cimitero militare americano più grande d’Europa (superficie di 52 ettari) e vi riposano i resti di 14.246 soldati. Le difficoltà che i familiari di Flaviano Di Donato dovettero superare per individuare la sepoltura non furono poche: diverse furono le trascrizioni del nome, dallo sbarco negli USA all’arruolamento; dall’approdo in Inghilterra passando per la Francia ed infine la riesumazione del corpo con diversi nominativi: Floriano Di’ Donato; Florianno DiDonato; Floriano DiDinato. Il 18 giugno 1920, nel tardo pomeriggio, il papà Domenico si recò presso l’ufficio di stato civile di Giulianova e consegnò la lettera inviata dal governo americano al ministero della guerra italiano dove venne comunicato la morte ufficiale del giovane giuliese, l’iter per la comunicazione in Italia era iniziata già il 17 marzo ma solo il 5 giugno il ministero della Guerra disponeva delle traduzioni.

    Il 12 novembre 1921 avvenne la comunicazione ufficiale della morte di Flaviano al padre Domenico alla presenza dell’allora sindaco Giuseppe De Bartolomei e del responsabile dello stato civile Giacinto Testoni. Il 31 agosto 1922 il capo scorta, Joseph Peters, del convoglio americano che stava girando l’Italia per riconsegnare le salme degli italiani morti con la divisa americana (American Graves Registratio Service convoy to italy), consegnò le spoglie (solo per chi ne aveva fatto espressa domanda) alla famiglia con la bandiera americana con il nome di Florianno DIDONATO al numero di matricola 2791726 dati trascritti nell’albo d’oro dei caduti americani della prima guerra mondiale e custodito oggi nella biblioteca nazionale del Congresso Americano; lo stesso giorno furono fatti i solenni funerali all’interno del cimitero di Giulianova e la salma, con tutti gli onori militari, fu deposta nella piccola cappella nella zona nord-est del cimitero di Giulianova (oggi parte antica), vicino alla cappella di famiglia dei Sechini, dove era sepolto il prete dell’Annunziata don Concezio Sechini prozio da parte materna dello scrivente (il viale centrale che va verso nord). Ancora un tragico episodio colpì la sventurata famiglia Di Donato.

    Sappiamo che tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944, Giulianova fu martoriata dai pesanti bombardamenti della seconda guerra mondiale ad opera degli angloamericani; in uno dei bombardamenti una bomba cadde tra la cappella dei Sechini e dei Di Donato, distruggendo tutto. Il giorno seguente, i familiari e le autorità dell’epoca si recarono sul luogo del bombardamento e si accorso che ignoti avevano rubato la cassettina di ferro che conteneva le spoglie del giovane militare. Dopo il danno la beffa, questo in sintesi la vicenda rocambolesca del corpo del povero soldato, prima seppellito in tre campi militari in Francia; poi disseppellito e portato in Italia ed sfortuna volle che proprio i figli di quei ragazzi che combatterono con Di Donato con i bombardieri centrarono la sua sepoltura. Alla fine della guerra, i familiari fecero edificare una nuova cappella di famiglia sempre nella stessa zona, su una parete di essa ci sono le foto dei due fratelli, Biagio e Flaviano, morti per lo stesso ideale di patria ma soldati di due eserciti diversi.

    Alla luce di quanto riportato con le mie ricerche, sarebbe il caso di intitolare una via o/e ricordare anche con una lapide questo giuliese che si distinse nella prima guerra mondiale pagando con la vita per un esercito che non era suo; inoltre è stato l’unico giuliese che contemporaneamente è citato nell’albo doro dei caduti della grande guerra italiano e americano (citato anche nel libro di: William Mitchell Haulsee, Frank George Howe e Alfred Cyril Doyle, Soldiers Of The Great War, Soldiers record publishing association, Washington D.C., 1920)