"Quando nasci ti danno un biglietto indecifrabile, dentro il quale c'è scritto tutto il tuo avvenire. Le malattie, il successo, l'insuccesso, gli incontri importanti, c'è scritto tutto lì. Anche il giorno e l'ora della tua morte".
Questa era la vita secondo Andrea Camilleri, morto stamattina a 93 anni.
Noto principalmente come il “padre” del commissario Montalbano, Camilleri, nato a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, il 6 settembre del 1925, è stato un grande scrittore, sceneggiatore drammaturgo e regista, ma soprattutto un uomo del popolo, creatore di una lingua in grado di raggiungere tutti. “Il sapere, chi ce l’ha lo deve seminare come si semina il grano, spenderlo”, aveva detto. “Il sapere non deve essere un’élite, deve essere l’uso quotidiano nostro. Il giorno in cui questo avverrà saremo veramente uomini sulla terra”.
Poco si sa della sua infanzia in Sicilia, dove frequenta per quattro anni il collegio vescovile, dal 1939 al 1943, e da dove viene espulso per aver tirato delle uova contro un crocifisso. I suoi studi proseguono al Liceo Classico Empedocle di Agrigento, dove ottiene la maturità, conseguita senza esami a causa dei bombardamenti della guerra e dell’arrivo degli Alleati in Sicilia. In seguito s’iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia all’Università di Palermo, ma non conclude gli studi. Finita la guerra, prende la tessera del Partito Comunista e contemporaneamente inizia a scrivere e pubblicare racconti e poesie per riviste e per quotidiani come L’Italia socialista e L’Ora di Palermo e partecipa a concorsi letterari, vincendone anche alcuni.
Dalla fine degli anni ‘40 si trasferisce a Roma, dove viene ammesso, unico allievo regista per quell’anno, all’Accademia di Arte drammatica Silvio d’Amico. Una volta conclusi gli studi in accademia nel 1952, Camilleri partecipa a un concorso Rai, lo vince ma non viene subito assunto e deve aspettare altri tre anni per entrare in Rai come sceneggiatore e regista. Qui la sua carriera continua per tutti gli anni ’60 con la produzione di molti sceneggiati, tra cui quelli del Tenente Sheridan e del Commissario Maigret. Soltanto tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ’80, Camilleri si dedica quasi esclusivamente alla narrativa. L’esordio è segnato nel 1978 con la pubblicazione del libro Il corso delle cose, in realtà scritto dieci anni prima, seguito due anni dopo da Un filo di fumo. Dopo alcuni anni di pausa segnati da alcuni insuccessi, Camilleri torna a scrivere, segnando la svolta del suo successo.
Nel 1992 pubblica La stagione della caccia e nel 1993 La bolla di componenda, saggio storico sui compromessi tra le istituzioni e il malaffare nel meridione. L’anno dopo segue La forma dell’acqua, primo romanzo poliziesco con il commissario Montalbano e, successivamente, Il birraio di Preston, che partecipa al Premio Viareggio e grazie al quale, pur senza classificarsi, riesce a ottenere un discreto successo di pubblico.
Da lì in poi segue una produzione sterminata di successi che nemmeno la cecità degli ultimi anni riesce a fermare e che, nonostante l’uso ostinato del dialetto, raggiunge ogni lettore e travalica i confini regionali e nazionali vendendo oltre venticinque milioni di copie in Italia e nel mondo. I suoi libri vendono in media intorno alle 60.000 copie e, grazie anche all’esordio in televisione con la serie Il Commissario Montalbano, Camilleri diventa un fenomeno televisivo, oltre che letterario.
Nonostante l’età e la cecità sopraggiunta negli ultimi anni della sua vita, Camilleri non ha smesso mai di lavorare e di fare quello per cui era nato, raccontare storie. E, oltre ai romanzi, ha scelto altre forme di narrazione, esibendosi, ad esempio, al Teatro Greco di Siracusa, impersonando Tiresia, l’indovino tebano cieco come lui che appare nell’Odissea per indicare a Ulisse la via del ritorno. Un personaggio con cui condivideva oltre alla cecità la capacità di “vedere” più di chiunque altro e di mostrare la verità a chi, pur vedendo, non è in grado di farlo. Poco prima del fatale arresto cardiaco che l’ha colpito lo scorso 17 giugno, si stava preparando per andare in scena il 15 luglio alle Terme di Caracalla di Roma con uno spettacolo che avrebbe raccontato la sua Autodifesa di Caino. Inarrestabile, pieno di energia fino alla fine, in linea con quel che amava ripetere: “Se potessi vorrei finire la mia carriera seduto in una piazza a raccontare storie e alla fine del mio ‘cunto’, passare tra il pubblico con la coppola in mano”.
Tuttavia, la sua popolarità si deve indiscutibilmente, al commissario Montalbano, nei cui romanzi abbiamo visto, oltre alle indagini, anche la presenza di fatti della cronaca italiana come il G8 di Genova, l’immigrazione, la corruzione negli appalti pubblici, i licenziamenti degli operai dalle fabbriche, e la capacità di “leggere” l’animo umano in tutte le sue manifestazioni. Fino a Il cuoco dell’Alcyon, uscito lo scorso 30 maggio e già in testa alle classifiche. Le riflessioni di Salvo Montalbano che di romanzo in romanzo si trova faccia a faccia con un mondo che fa fatica a comprendere, sono gli stessi dubbi di Andrea Camilleri, alter ego di Montalbano. Lo scrittore, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, fino all’ultimo suo giorno di lucidità, s’interrogava sull’Italia contemporanea, non tralasciando di esprimere la sua opinione anche su temi politici tra i più scottanti, come, ad esempio, l’uso del Rosario fatto da Matteo Salvini durante vari comizi. Inevitabilmente, le sue parole hanno attirato gli strali degli haters sempre più attivi in rete, oltre a suscitare il disappunto in alcuni suoi lettori che avrebbero voluto un Camilleri esclusivamente scrittore di romanzi gialli.
Il binomio Montalbano-Camilleri nell’immaginario collettivo del lettore è indissolubile e per scelta dell’autore lo sarà anche dopo la morte di quest’ultimo. Infatti, l’ultimo capitolo dedicato al leggendario commissario, per volontà dello stesso Camilleri sarà pubblicato dopo la sua morte e la fine di Montalbano coinciderà per sempre con la fine del suo autore.
Ogni romanzo è ambientato nella sua amata città natale, Porto Empedocle, che diventa nei suoi numerosissimi scritti l’immaginaria e insostituibile Vigata, un luogo astratto e tuttavia dai contorni tanto reali. Un luogo che lo scrittore siciliano conosce bene e che altrettanto bene riesce a far conoscere ai suoi lettori, molti dei quali cadono nella “trappola” e organizzano veri e propri pellegrinaggi alla ricerca dei luoghi e dei profumi della Sicilia di Montalbano, una Sicilia che, come Vigata, molti di noi non troveranno perché geograficamente non esiste. Esiste però un luogo fatto di colori e sapori, di piatti indimenticabili, di persone disoneste ma anche di molta gente perbene che ama la giustizia e lotta per farla trionfare nonostante tutto.
È la Sicilia di Salvo Montalbano. È la Sicilia di Andrea Camilleri.
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