Presentato al Taormina Film Festival e in uscita nelle sale italiane il 17 ottobre, il film di Mimmo Calopresti racconta le vicende di Africo, borgo nel cuore dell’Aspromonte che ha dato i natali a Pietro Criaco, autore del romanzo che ha ispirato il film (“Via dall’Aspromonte”, Rubbettino Editore ).
Gli ultimi del titolo sono gli abitanti di un paese che da sempre ha vissuto un atavico isolamento. Africo vecchia, distrutta dall’alluvione del 1951, oggi è un insieme di ruderi attorno al bellissimo monastero di San Leo. “Il Sud è da sempre luogo geografico e luogo dell’anima. Inferno e paradiso, cronaca e favola”, spiega il regista Mimmo Calopresti. “Così è questo film”.
La storia è ambientata negli anni Cinquanta, non c'è luce elettrica e nemmeno una strada di collegamento. Ad Africo le istituzioni sono assenti, qui tutto appare sospeso in un limbo. Vi è la pressoché totale assenza di interesse collettivo verso un luogo che invece ha una grande voglia di riscatto. Nel film vediamo gli abitanti che esasperati dall’indifferenza generale e dall'ennesima morte di parto perché il dottore non arriva in tempo, decidono di farsi la strada con le loro mani per aprirsi un sentiero verso il futuro.
Nell'impresa vengono coinvolti anche gli alunni della scuola elementare. La loro maestra Giulia, (Valeria Bruni Tedeschi) vuole insegnare loro l’italiano, così quando la strada sarà terminata saranno pronti ad entrare nel nuovo mondo.
“Ho lasciato il mio paesino calabrese quando ro molto piccolo e ora ho necessità di tornare alle mie origini", ha detto ancora il regista, originario di Polistena, in provincia di Reggio Calabria. “Quando ho cominciato a girare ero convinto di fare un film fuori dal tempo. Poi ho capito che Africo è la capitale del mondo, è oggi”
Il film è una storia di disobbedienza civile. Gli Africoti, capitanati da Peppe (Francesco Colella), dovranno vedersela con Don Totò (Sergio Rubini), una sorta di capo mafia contadino, che detta la legge e non vuole che nulla possa mettere in discussione il proprio potere sulla comunità.
Inserti di immagini dell'epoca fanno rivivere un universo esistenziale ai margini dei margini, separato, lontano da ogni asse stradale, con la sua fama di paese maledetto dalla miseria e di antica patria della 'ndrangheta. In una scena il regista ricostruisce anche l'arrivo dei cronisti del Nord per documentare una realtà complessa e incomprensibile, il modo di vivere di una popolazione dimenticata.
Dopo le alluvioni degli anni 50, l’intera popolazione di Africo fu evacuata. Solo in seguito si scoprì che il centro avrebbe potuto essere ricostruito nel suo sito o nelle immediate vicinanze. Il borgo è diventato simbolo delle ingiustizie dell’abbandono civile e umano della comunità nazionale. Lo stesso accade oggi.
"Africo è in Europa, e ci ricorda cosa, solo un secolo fa, poteva essere la nostra terra, spiega Calopresti, ma in quanto sud assomiglia nei suoi sogni e nelle sue sconfitte, più che al nostro continente, a tutti i luoghi che vengono lasciati morire per poterne saccheggiare più comodamente le risorse naturali. Gli ultimi oggi sono tanti e hanno bisogno di esistere. Sono vivi, ancora presenti, ancora disperatamente alla ricerca di un futuro, alle porte dell’Europa".
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