ROMA - Sulle convergenze ideali che nella stima profonda da moltissimi anni mi legano in un sodalizio culturale e professionale all’amico fraterno e collega stimatissimo Goffredo Palmerini, un’annotazione. Quando mi ha chiesto di curare la prefazione al volume Grand Tour a volo d'Aquila, questa sua nuova creatura, ho accettato subito con slancio e l’ho ringraziato per questo privilegio, ma non nascondo che ho avuto anche un sobbalzo di emozione. E molto mi sono interrogata sulle motivazioni della sua scelta nell’affidarmi un ruolo così prestigioso, tanto più se accompagnata, in apertura di questo volume, da una personalità come Hafez Haidar, pluricandidato al Nobel per la Pace e la Letteratura.
Riflettendo a lungo, mentre leggevo con l’ammirazione di sempre le bozze di questa antologia nel continuum con quelle precedenti, e ne penetravo i significati, i singoli contributi, le prospettive, le pregnanti immagini, emergeva una risposta che costantemente mi riconduceva a un punto, a quel modo che ci accomuna di aderire nel profondo alle questioni dell’Uomo, e dell’uomo migrante in particolare. Un’adesione profonda nata dall’incontro con Goffredo durante i miei dieci anni di lavoro come autrice di programmi di servizio per gli italiani all’estero a Rai International, nello storico “Sportello Italia”. Una tv di servizio pubblico di indiscusso valore.
Un programma di servizio – dimensione di un giornalismo sociale, al servizio dell’Altro, che mi avvicina a Goffredo – di irripetibile portata perché esperienza umana, prima ancora che professionale, davvero fuori dall’ordinario. “Sportello Italia” mi ha spalancato mondi sul patrimonio sconfinato di tutte le storie di vita che hanno scritto la Storia del nostro Paese: milioni di emigranti che con il loro essenziale contributo, oggi riflesso attraverso i discendenti, hanno assicurato lo sviluppo della Madre Patria e dei Paesi di arrivo. È a partire da questa trasmissione che ho sviluppato la necessaria sensibilità e la passione civile per il successivo interesse all’approfondimento e alla ricerca nel vissuto migratorio di tutti quei milioni di donne e uomini che, ieri come oggi, conoscono lo strappo della migrazione.
Conosco Goffredo Palmerini dal 2006, quando intervenne come ospite nel programma per rendere note le iniziative che la Regione Abruzzo, attraverso il Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo – di cui era un componente – aveva intrapreso a favore dei propri corregionali all’estero. Colsi subito il forte carattere morale che era capace di imprimere a questi temi, quel senso di responsabilità così particolare nel farsi ponte tra le ‘due Italie’. E questo era perfettamente in sintonia con la mission di un programma Rai che ponte era in ogni sua espressione di informazione per tutti gli italiani nel mondo. Un programma che è stato per me humus per realizzare poi il Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo di cui Goffredo è uno dei più prolifici autori oltre che membro del Comitato scientifico.
Abruzzesi e abruzzesità, significato profondo dell’appartenenza e delle radici, associazionismo, rimesse, oriundi, stage universitari e gemellaggi, accordi e convenzioni bilaterali, rapporti con la stampa estera, criticità della rete diplomatico-consolare, Musei e Feste dell’Emigrazione, viaggi della memoria e del ritorno: con quella sua pacata modalità, Goffredo affrontava questioni nodali di un senso di comunità e di un’italianità tutta da coltivare, valorizzare e amare. Lo ascoltava partecipe Francesca Alderisi, per molti anni al timone del programma come autrice e conduttrice, e dal marzo di quest’anno impegnata come Senatrice della Repubblica Italiana; una vita dedicata con il cuore agli italiani all’estero, a dar loro ascolto, voce e rappresentanza. E sempre lei determinata promotrice e madrina del Giardino Italiani nel Mondo, inaugurato a Roma nel 2013, la prima targa toponomastica d’Italia dedicata ai nostri connazionali all’estero.
Andando avanti nel tempo, ho ritrovato l’amico Goffredo col quale condividere attività performanti nel segno di un giornalismo sociale al servizio dell’Altro. A questo proposito non posso non ricordare il suo generoso sostegno nella condivisione con me della massima diffusione nel mondo delle molteplici attività di assistenza socio-sanitaria dell’INMP (Istituto Nazionale Salute Migrazioni e Povertà) a tutte le persone in difficoltà, italiane e immigrate, che cercano una vita migliore nel nostro Paese. Voglio qui ricordare il ‘viaggio spirituale’ della Croce di Lampedusa, realizzata con i resti dei barconi dei migranti morti nel Mediterraneo e benedetta da Papa Francesco. Una croce che proposi arrivasse da Roma fino a L’Aquila, da Goffredo, che la prese in custodia nelle tappe di Paganica, Pettino, Pizzoli e Vasto. Ancora oggi mi emoziona ricordare quella ‘strada’ che dal Lazio correva lungo le curve verso l’Abruzzo quale segno vivo del viaggio di tanti migranti alla ricerca di un futuro di speranza. Quella croce era ed è, nel suo viaggio che continua, testimonianza umana e spirituale di armonia tra fedi e culture diverse, di accoglienza e solidarietà compartecipativa.
Lampedusa vuol dire ormai “porta”: porta del dolore, porta della speranza. Porta che accoglie. Lampedusa ci convoca tutti. E rimanda le nostre coscienze a quelle tre Madri che, ieri come oggi, ogni persona migrante ha lasciato: la propria Madre naturale, la Madre terra, la Madre lingua. Di fronte a queste luttuose perdite, dovremmo lasciare spazio solo al silenzio. E invece, nella ribalda mollezza di princìpi che il nostro tempo registra, abbiamo ridotto il delicatissimo tema dell’accoglienza a questioni di controllo, facendo prevalere logiche securitarie e di ‘contenimento’ sull’onda strumentale delle paure. Ci siamo ritrovati – e mi si perdoni, qui, il plurale – sguarniti di valori fondativi ed eticamente condivisi.
Nella nuova storia sociale tutta da ricostruire, la domanda centrale è capire se l’Altro è per noi entità astratta e lontana o nucleo umano significante. Goffredo Palmerini, con la vigile consapevolezza che ritroviamo tra le pieghe di questo volume, ci consegna la risposta, unica e inequivocabile: i fatti sociali cui ognuno di noi può dare vita, ogni giorno, nel silenzio dei gesti più ordinari, sono ‘luoghi’ importanti di rigenerazione e ricchezza umana. Ecco perché tutti noi gli dobbiamo gratitudine profonda. Per il suo essere, in questo nostro tempo spaesato e spaesante, legame, punto di riferimento e aiuto al giusto porsi e giusto agire.
*studiosa di migrazioni, scrittrice.
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