Conosco mons. Gennaro Matino non solo dai suoi libri e dai suoi articoli, ma ho la fortuna di averlo sentito predicare, discutere e averlo visto in azione pastorale tra i suoi fedeli e coi suoi confratelli, per tanti dei quali è stato maestro e continua ad essere guida. Conosco la sua fede e la sua apertura al mondo e se potessi scegliermi un parroco, lo vorrei proprio come lui. Ma leggendo il suo ultimo articolo su i-Italy (Voglio bene a papa Francesco, ma…) [2] (vedi related articles a destra) mi sono trovato in disaccordo con lui.
Le prima critica di Monsignore a papa Francesco riguarda il fatto che le sue dichiarazioni pubbliche ed estemporanee (ad esempio sui divorziati risposati o sulle persone LGBTQ) non sono seguite da direttive e decreti chiari. È vero che sulla questione della comunione ai divorziati non c’è stata una modifica del codice di diritto canonico o del Catechismo della Chiesa Cattolica e che la Amoris Laetitia chiede ai singoli vescovi di impostare una prassi pastorale adatta alla loro diocesi e soprattutto a considerare le peculiarità di ciascun caso, ma non impone nessuna ‘svolta’. È una questione complessa al centro dei cosiddetti ‘dubia’ espressi pubblicamente dai cinque cardinali ribelli ultraconservatori (che in altri tempi sarebbero già stati spogliati della porpora e spediti a purgare i loro peccati in qualche certosa senza riscaldamento). Ma Francesco ha sempre detto che non era interessato a una ridefinizione teologica del matrimonio (che rimane uno e indissolubile), ma in una diversa prassi pastorale e su quella (e don Gennaro lo sa meglio di chiunque altro) non si legifera. Quella è basata sul rapporto con le persone, sulla conoscenza dei loro problemi e del loro percorso di fede. Francesco, praticamente, invita vescovi e preti a fare quello che don Gennaro fa da decenni: ascoltare, accogliere e dialogare con tutti e a basare la pratica dei sacramenti non sui canoni del codice, ma sulla Fede vera delle persone.
La seconda critica è relativa al linguaggio poco ‘delicato’ che il papa avrebbe usato in diverse occasioni. Ricordiamoci che l’italiano del Santo Padre non è l’italiano colto e raffinato dell’alta borghesia italiana da cui veniva papa Montini e nemmeno quello sintatticamente perfetto e algido delle aule universitarie da cui veniva papa Ratzinger. È l’italiano degli immigrati piemontesi imparato in cucina dall’amata nonna, è l’italiano familiare, quotidiano e colloquiale che Jorge Mario ha assorbito col latte materno.
Nella fattispecie, don Gennaro rimprovera al papa di aver definito la presunta Madonna di Medjugorie “postina”. Premesso che postina non è un'offesa, ma una degnissima e nobile professione, il Papa, senza scomunicare nessuno, ha detto semplicemente cosa pensa di queste presunte apparizioni, peraltro mai riconosciute dalla Chiesa. Su questa faccenda si sono espressi tutti, solo lui doveva tacere? Le responsabilità sul fenomeno (ma sarebbe il caso di dire ‘affare’ visto i miliardi che muove) Medjugorie sono dei preti e dei vescovi che hanno continuato ad organizzare pellegrinaggi nonostante la proibizione e gli inviti alla cautela da parte del Vaticano e delle conferenze episcopali. E se vogliamo proprio dirlo chiaramente, la responsabilità maggiore è stata dei predecessori di Francesco che non hanno avuto il coraggio di dire pubblicamente quello che tutte le commissioni che avevano incaricato di indagare avevano concluso e cioè che le presunte apparizioni sono bufale o, nel migliore dei casi, frutto di un fenomeno di autosuggestione collettiva. A recare scandalo alle nonnine che recitano il Rosario non è stato il “Madonna Postina” di papa Francesco, ma i preti e i frati che le hanno abbindolate inducendole a credere in quella bizzarra e non conclusa storia.
E permettetemi di concludere questo scambio di idee con don Gennaro con i versi di Dante che anche lui conosce ed ama:
Siate, Cristiani, a muovervi più gravi:
non siate come penna ad ogne vento,
e non crediate ch'ogne acqua vi lavi. 75
Avete il novo e ’l vecchio Testamento,
e ’l pastor de la Chiesa che vi guida;
questo vi basti a vostro salvamento.
(Paradiso V, 72-78)
Non so se papa Francesco abbia in mente questi versi, ma so di sicuro che a Dante un papa così sarebbe garbato. E parecchio.
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