Lo scorso 15 Marzo è uscito per Mondadori L’indegno, il nuovo romanzo di Antonio Monda.
Il libro fa parte di un progetto di dieci volumi, tutti aventi come sfondo New York, con storie autonome correlate tra di loro attraverso un filo sottile, con personaggi ricorrenti, e ognuno ambientato in un decennio diverso del Novecento. Dei quattro libri della serie finora pubblicati,
Ota Benga [2]aveva come collocazione temporale gli anni ’10,
L’America non esiste [3]gli anni ’50,
La casa sulla roccia [4] gli anni ’60 e quest’ultimo,
L’indegno [5], gli anni ’70.
Ancora una volta, com’era accaduto per i volumi precedenti, colpisce al cuore l’immagine della copertina, che rappresenta l’intensa e sfuocata immagine delle Twin Towers di New York. L’indegno è scritto in forma di appassionato monologo e analizza il tema del complicato rapporto tra fede e colpa. Abram Singer è un prete, un uomo che ha scelto di dedicare la sua vita a Dio e alla religione cattolica. Suo padre, Nathan, un artista girovago senza radici, lo concepì durante una relazione breve ma intensa. Il piccolo Abram non conoscerà mai il padre e verrà cresciuto dalla mamma. Nonostante le origini ebraiche testimoniate dal suo nome, Abram professa, come la madre, la fede cattolica e decide di entrare in seminario, diventando sacerdote e portando avanti un percorso pastorale in una parrocchia nella frenetica città di New York degli anni Settanta. Una scelta dettata forse dalla ricerca di un modello maschile di riferimento, dal momento che nella sua vita non ha mai potuto chiamare qualcuno “papà”.
Abram è un buon sacerdote, è paziente nell’ascoltare le confessioni, fa vibranti e appassionate omelie, assiste i senzatetto, ma è anche un uomo estremamente tormentato, alla perenne ricerca del bene assoluto, un debole che cede alla tentazione della carne, facendo entrare nella sua vita oltre all’amore spirituale quello carnale e terreno che lo porta a peccare, a rinnegare i suoi voti, il senso stesso della sua missione. L’amore per Lisa, la donna di cui s’innamora, lo porta a commettere atti che sporcano il suo abito, come rubare e mentire.
Abram vive la sua condizione di peccatore, di uomo che si fa trascinare dal mondo sull’orlo della dannazione eterna, come un dramma, come il male assoluto, come indegnità, e da qui deriva il titolo “forte” del romanzo. La metafora della sua lotta interiore contro il peccato è rappresentata dalla scena dell’incontro di boxe a cui assiste nel refettorio della sua parrocchia, insieme a tre confratelli, un giovane seminarista giamaicano e due suore. Si tratta di un incontro che resterà nella storia del pugilato, il Rumble in the Jungle avvenuto nell’ottobre del 1974 a Kinshasa, che vide contrapporsi il trentaquattrenne Muhammad Alì in veste di sfidante contro il campione del mondo dei pesi massimi George Foreman. Ripresa dopo ripresa, Abram si appassiona davanti allo scontro tra la leggerezza di Alì e la forza di Foreman. Alla fine prevale Alì, che segue una strategia basata sull’astuzia opposta alla cieca violenza di Foreman.
È la metafora della lotta tra Davide e Golia, del contrasto tra bene e male, tra fede e peccato che si agita in Abram, un contrasto che è la fonte del suo dolore insanabile, anche perchè non riesce a smettere di peccare, di desiderare di possedere il corpo femminile. Prima di Lisa c’erano state altre donne per le quali l’attrazione era stata puramente fisica e nulla più. Invece, sin dal primo incontro avvenuto in parrocchia, Abram viene profondamente coinvolto dalla giovane volontaria, che lo affascina anche intellettualmente, parlandogli della Cappella degli Scrovegni, di Botticelli, Pontormo, Bronzino, Lotto Lotti, della bellezza dell’arte. Lisa è docile, innamorata incondizionatamente, accetta che lui sia e resti un sacerdote, non gli chiede di abbandonare la Chiesa. Il suo amore è talmente forte da farle rinunciare al figlio che hanno concepito, decidendo di abortire, commettendo il peccato che la madre di Abram non aveva voluto di compiere, mettendolo al mondo, pur con la consapevolezza che il figlio non avrebbe mai avuto un padre. E Abram vigliaccamente non si oppone alla decisione di abortire, anzi, il giorno dopo celebrerà la messa con vergogna e orrore. Finchè un giorno Lisa si ammala di cancro e la malattia della donna che ama diventa per Abram una punizione e allo stesso tempo un modo per espiare le sue colpe, restandole vicino fino alla fine, vivendo persino lo strazio di celebrarne il funerale.
La conclusione del libro, che, ovviamente non sveleremo, è amara e lascia nel lettore il senso della solitudine di Abram, che potremmo definire il fil rouge del libro. Una solitudine profonda, vissuta in una New York che Abram definisce “città di gente sola”. Siamo con lui quando, prima ancora di diventare prete, contribuisce, da giovane operaio, alla costruzione delle Twin Towers, edifici simbolo della città che sfidavano il cielo, qualcosa che si pensava sarebbe durato in eterno. Siamo con lui al “21”, famoso e lussuoso ristorante della città, o davanti allo “Studio 54”. E sempre con lui ci troviamo nella povera parrocchia e nella sua cameretta. Ovunque Abram è solo e tormentato, incapace di vivere la vita con leggerezza, consapevole della sua incapacità di cambiare il mondo e, soprattutto, se stesso, essere umano fatto di fango e spirito, condannato a essere quello che è.
ISBN 9788804661054
156 pagine € 18,00
15,5 x 23,3 cm
Cartonato con sovraccoperta
In vendita dal 15 marzo 2016
Disponibile come eBook
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