Al Village di Manhattan si parla di Napoli. Della Napoli del passato, di quella di oggi, e della Napoli del futuro che vorremmo. Il pubblico è composto da italiani che vivono a New York, tra cui diversi napoletani, da qualche americano e da coloro che andando a mangiare a Ribalta — dove i soci fondatori Rosario Procino e Pasquale Cozzolino preparano forse la migliore pizza napoletana nell’area — hanno scoperto delle persone che discutono di un libro e si sono incuriosite. In prima fila tra il pubblico anche dei bambini: orecchie curiose e sguardi attenti, spesso incantati.
A parlare è l’autore di “Tetti di sole” Gennaro Matino, teologo, scrittore, docente di teologia pastorale e parroco a Napoli. Ne argomenta insieme allo scrittore e giornalista, Antonio Monda – napoletano di parte paterna - docente alla New York University e a me, che faccio da moderatore.
Inizialmente un po’ emozionato, Gennaro Matino si scioglie subito e la sua esposizione diventa presto passionale. Il suo bel romanzo rimane sullo sfondo, mentre emerge con forza la sua idea, la sua speranza per Napoli. D’altronde i temi affrontati in “Tetti di sole” sono scottanti, è un romanzo che ha l’intensità di un saggio.
E non poteva esserci newyorkese migliore ad introdurlo di Antonio Monda, organizzatore di tante importanti inziative legate alla Campania, tra cui 41mo parallelo, una rassegna cinematografica realizzata tra Napoli e New York, insieme a Davide Azzolini. «Napoli è sullo stesso parallelo di New York e le città hanno molto in comune. – argomenta Monda - New York è una città di mare, piena di contrasti ma anche un melting pot. Ha imparato fin dall’inizio ad accogliere come Napoli. Qui il diverso è sempre stato considerato una possiblità. Ci sono certo differenze tra Napoli e New York, ma su questa linea si riesce a trovare non solo un alleanza, di certo una verità che racconti sia l’una che l’altra città»
“Tetti di sole” racconta il presente di Napoli partendo da ricordi personali, anche se romanzati, del quartiere di Antignano. Sono gli anni Sessanta, e il rione è costretto a subire la speculazione edilizia che pian piano interesserà tutta la città. Gli abitanti vengono allontanati dalle loro case. E inseme alla casa molti finiscono per perdere la loro umanità. Sono gli anni di “Mani sulla città”, quelli raccontati nel famoso film di Rosi. Un piano regolatore manomesso nottetempo da criminali rimasti “ignoti” alla giustizia, che permise ai palazzinari di costruire grandi quartieri dormitorio sia su terreni agricoli che al posto di antichi borghi. Una grande menzogna - dice Gennaro Matino - che ha dato ai ricchi e tolto ai poveri.
La città infatti ha cominciato da allora a smarrire i suoi valori collettivi, comunitari, quelli che portavano all’aggregazione, che avrebbero consentito una partecipazione popolare, e anche una lotta, che a Napoli è “rivoluzionaria”, per il buon governo. Il risultato dopo 50 anni è che «Napoli è oggi a rischio più che mai. I migliori se ne sono andati e se ne stanno andando» dice Matino.
Ad ascoltarlo alcuni di questi napoletani infatti. Giovani ricercatori, studenti, artisti, professionisti. Che spesso si riuniscono la domenica a tifare per il Napoli (proprio di a Ribalta si tramettono le partite), e rincorrono a New York le iniziative legate alla loro città, ne cercano la musica, la poesia, il cibo … ma pochi tornerebbero indietro.
Per Don Gennaro sono colpevoli le istituzioni e anche la Chiesa è spesso stata complice, imbambolando con la rassegnazione le persone. Ora necessita rimboccarsi le maniche, per restituire a Napoli la sua dignità. «Occore che i napoletani si prendano le proprie responsabilità e non lascino la città. Soprattutto non permettano ai giovani di smettere di sognare». E a questo possono contribuire anche i napoletani che vivono all’estero.
Presentare questo libro a New York, nella città che a raccolto e spesso realizzato i sogni di molti napoletani, ha infatti un significato simbolico per l’autore, che sottolinea di aver raccontato una Napoli lontana da stereotipi, da pizza e mandolino. E proprio per questo che ha scelto una pizzeria napoletana per aprire il dibattito, perchè «è un luogo di successo napoletano a New York, un luogo di giovani, un luogo di raccolta di persone che vivono il loro presente, come Napoli ha la sua storia quotidiana della gente che la vive. Parlare qui è come conversare in una piazza».
Ritorna sui giovani anche quando parla della casa editrice che ha scelto per il suo libro. Si tratta della no profit ‘Spazio Cultura Italia’, fondata da Mimì De Maio: «bisogna investire nelle giovani eccellenze del nostro territorio legate alla cultura»
E c’è una parola che sorprendentemente ricorre nel racconto di Gennaro Matino: rivoluzione. Una rivoluzione che si declina innanzitutto come speranza, ma speranza fattiva non mera contemplazione di un futuro immaginario. «Occorre una rivoluzione che non è mai esistita. Ci sono state delle scaramucce, ma era solo ‘nu poco d’ammuina». Quello che serve è «una rivoluzione non violenta, che dia nella mani di chi è sfruttato carta e penna per riappropriarsi di leggi giuste, che siano un pane condiviso per tutti e non per pochi» dice Don Gennaro ripetendo le parole stampate in quarta di copertina.
«Solo dagli stessi napoletani può partire una rivoluzine pacifica per combattere le menzogne dei potenti e far riscattare i deboli» insiste. E conclude incantando il pubblico con la lettura della sua poesia/dichiarazione d’amore per Napoli, che apre il romanzo. «La mia città è pane, la mia città è lavoro che manca… »
Letizia Airos
Direttore del network i-Italy a New York
www.i-Italy.org