NAPOLI a un passo dal default, lo spettro del dissesto finanziario, che per ora sembra scongiurato, fa ancora paura.
Fa ancora paura a meno di dieci anni dall’uscita dal suo ultimo fallimento che è costato ai cittadini lacrime e sangue.
Il governo Renzi ha lanciato una scialuppa di salvataggio alla città, un’operazione che così come viene presentata, per i sacrifici che l’intera collettività dovrà sopportare, non consente di fare salti di gioia.
Tuttavia, comunque vada, al di là del giudizio di merito sul come si è arrivati a questa tragica situazione e oltre la fumosa analisi politica che si consuma più per spirito di parte che per visione di futuro, la sofferenza della città e le prospettive di una sua drammatica decadenza, più profonda di quella che la città già vive, dovrebbero provocare i protagonisti della vita pubblica e civile al senso di responsabilità.
È tempo di una riflessione alta sul destino della nostra terra che permetta, al di là delle diverse posizioni ideologiche, sociali, politiche e culturali di ripensare la città insieme e, oltre le analisi necessarie, individuare profetiche soluzioni.
Siamo a una svolta che è giusto definire storica, un tempo in cui i destini dei diversi sono accomunati più che dagli stessi sentimenti di appartenenza, dal rischio comune della deriva, e per questo varrebbe restare uniti, riconsiderando l’antico detto secondo cui o ci si salva insieme o si perisce tutti.
Nessuno può scrollarsi da dosso le proprie responsabilità, chiamarsi fuori dal dovere di fare ammenda per i tanti guasti procurati dalla mancanza comune di senso civico, dalla delega sconfinata di rappresentanza politica senza alcuna verifica, dal pressapochismo morale ed etico.
D’altronde, il fallimento amministrativo del Municipio, sotto gli occhi di tutti, non arriva a sorpresa, ma è solo l’ultimo di tanti altri default sottaciuti e banalizzati che descrivono la più totale assenza di strategia progettuale, di percorsi organizzativi e gestionali.
Un deficit organizzativo provocato da inefficienze e mediocrità professionali tali da produrre una crisi così ampia e profonda del governo del territorio, da inanellare nella città, uno dopo l’altro, il fallimento della politica, della cultura, della chiesa, dell’economia a causa di un solo comune denomina-tore: mancanza di promozione della cultura del bene comune a vantaggio dell’etica individualista. Una politica saccente, esperta nell’allontanare i cittadini dalla partecipazione attiva alla cosa pubblica per consentire a una classe dirigenziale di basso profilo di coltivare indisturbata il giardino dei propri privilegi; una cultura dilapidata da beghe di palazzo e dalla spartizione baronale di feudi intellettualistici che passano senza merito da padre in figlio e che spende il suo tempo nell’occupazione sistematica di posti di prestigio, più che nella ricerca scientifica e nella promozione dei suoi uomini migliori; una chiesa di sola immagine e di poca sostanza, che a fronte di promesse visionarie di nuova presenza nel tessuto cittadino e di responsabilità attiva per aggregare diversi nella costruzione del bene comune, sembra piuttosto navigare a vista; infine le diverse anime della vita produttiva ed economica della città che, a fronte di una crisi colossale dei mercati, non hanno saputo darsi una governance tale da rammodernare i percorsi aziendali forti di antiche esperienze produttive e di uscire fuori dalla sudditanza di commesse politicizzate e lottizzate.
Tuttavia, proprio l’estremo stato di prostrazione in cui vive la città obbliga le diversi componenti, che hanno contribuito per la loro parte al suo decadimento, al confronto.
È tempo di uscire allo scoperto, ponendo fine allo squallido gioco al rimpiattino, rimandandosi responsabilità più che ripetere a se stessi che solo insieme si può venire fuori dalla notte.
L’impresa è complessa e suppone il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati: istituzioni rappresentative e autorità di governo locale, operatori economici e finanziari, organizzazioni sindacali e sociali, strutture universitarie e culturali, chiesa e confessioni religiose presenti sul territorio, movimenti e associazioni.
È tempo di convocare un’assise cittadina, rivoluzionaria e non violenta, per costruire una città nuova, uno spazio di ripensamento visionario, dove diversi che restano tali sappiano produrre un nuovo modello di città pronto a valorizzare le sue innumerevoli risorse e a ridisegnare i suoi futuri percorsi.
* Gennaro Matino è docente di Teologia pastorale. Insegna Storia del cristianesimo. Editorialista di Avvenire e Il Mattino. Parroco della SS Trinità. Il suo più recene libro: “Economia della crisi. Il bene dell'uomo contro la dittatura dello spread”
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