Trentanove quadri per riportare alla luce o meglio per illustrare il percorso di uno dei maestri dell’astrattismo italiano del secondo Novecento: Giuseppe Capogrossi.
Non il percorso, come si potrebbe pensare, della sua lunghissima avventura artistica, gia' che il Capogrossi cominciò, dopo aver combattutto nella prima Guerra mondiale e dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza a soli 22 anni, ad eseguire, sotto l’egida di Gianbattista Conti, copie di quadri dei grandi maestri rinascimentali, da Michelangelo a Piero della Francesca, per poi passare a dipingere nature morte, ritratti femminili, paesaggi, vedute di Roma.
Bensì quel percorso di lavoro che l’artista prese ad adottare nel suo passaggio, tra gli anni ’40 e ‘50 dalla fase figurativa a quella astratta.
Un percorso che può certamente riferirsi ad un vero e proprio processo ontologico nelle sue varie fasi di germinazione, elaborazione e attuazione, così come ebbe modo di dire egli stesso in una intervista rilasciata nel 1959: “ Io disegno moltissimo. Molto spesso sono idee per la mia pittura… idee che verranno sviluppate piu’ tardi nei miei quadri”.
Dalle dinamiche, dunque, che dal “logos”, dall’idea platonica, da un discorso interiore portano ad una manifestazione, alla realizzazione di un oggetto che tende ad essere una rappresentazione di quella primigenia scintilla.
Una rappresentazione appunto, come lo stesso Capogrossi dichiara nel 1964 commentando il suo passaggio all’astrattismo: “Io mi trovo in una fase più avanzata del figurativo, in cui le forme naturali non sono piu’ imitate ma assimilate”.
Una rappresentazione, un’interpretazione della realtà. cosi come appare ai sensi e non nella sua forma assoluta. Un passaggio, così come avvenne dal petrarchismo alla poesia romantica, da un’estitica della “imitatio naturae” ad un’estetica in cui l’uomo e’ la misura del mondo, in cui ogni soggetto percepisce la propria realta’.
E sovente, anzi sempre, nel rappresentare il proprio modello di realtà, usiamo dei tratti distintivi che sono assolutamente unici, dei segni che palesano indiscutibilmente la natura del soggetto che li ha espressi. Così per Capogrossi e il suo astrattismo, ove un unico tratto distintivo, un unico segno tende a rappresentare, nelle sue infinite possibili evoluzioni e forme spaziali, tutta la realtà. La mostra evidenzia proprio questa vastissima possibilità di combinazione del segno, attraverso le varie fasi, dalla bozza al risultato finale, mediante una selezione di lavori eseguiti su carta con tecniche diverse, dal collage alla tempera, dall’olio al pennarello.
Trentanove lavori distribuiti lungo le pareti della Casa Italiana Zerilli–Marimò attraverso cui il visitatore può ammirare il lavoro di preparazione, financo nelle note scritte a matita in calce o di lato, in quelle opere classificate come “Superfici”, e la redazione definitiva in quelle opera classificate come “Litografie e stampe”.
La svolta del ‘50, dunque, rappresento’ per il Capogrossi non un ripiego, rispetto alle classiche tecniche che informano la pittura figurativa, bensi’ l’affermazione di un modo particolare di sentire la vita attraverso una rappresentazione grafica, ove il segno nella sua ripetitivita’ non e’ mai foriero di un unico significato, già che combinato con il colore e con la differente disposizione nello spazio assume una polivalenza semantica.
In particolare, i lavori esposti evidenziano uno specifico tratteggio dalla forma di forchetta, che disposto variamente nello spazio del foglio e combinato con i diversi colori non solo ci parla di uno stile ma anche di un’identità personale, di un modo d’essere.
Source URL: http://test.casaitaliananyu.org/magazine/focus-in-italiano/arte-e-cultura/article/giuseppe-capogrossi-dal-figurativo-allastratto
Links
[1] http://test.casaitaliananyu.org/files/capogrossicover1384024637jpg