Fin dal suo esordio, Giorgio Kiaris si è sempre distinto per aver intrapreso un percorso che lo discosta dagli altri artisti della sua generazione. Un percorso che affonda le sue radici in quella che fu la culla dell’arte classica, un percorso che tende a valorizzare, quanto più possibile, lo spazio entro cui sviluppare l’idea, un percorso la cui dimensione semantica è riconducibile all’impercettibilità di un segno che è colto nella sua fase di germinazione, di un segno non ben definito e ancora instabile. A indirizzare questo suo percorso è stato, evidentemente, anche l’ambiente culturale entro cui è cresciuto.
I quadri di Giorgio Kiaris verranno esposti per la prima volta a New York presso la S. Artspace Gallery, 345 Broome Street. La “personale”, dal titolo, “Cromografie” sarà aperta al pubblico dal 9 ottobre 2013 al 31 ottobre 2013, dalle ore 18.00 alle ore 20.00
I-Italy ha avuto l’opportunità di intervistare l’artista, le cui risposte, qui sotto, vi introdurranno alla vita e all’arte del Kiaris.
Giorgio, se dovesse presentarsi al pubblico americano, cosa direbbe di Giorgio Kiaris?
Giorgio Kiaris è un pittore italiano con origini greche, quindi mediterranee, e con componenti culturali profondamente legate alle civiltà che hanno creato le basi della classicità. Mi considero un pittore puro, che vive il suo rapporto con l’Arte come un amanuense, dove l’interesse per la qualità del suo lavoro, non ha bisogno di tecnologiche diavolerie e di materiali “altri”…
Tuttavia, se l’ambiente ha un ruolo fondamentale nella formazione di un artista, nel forgiarne le basi, un ruolo non meno importante lo hanno le esperienze e gli incontri, più o meno casuali, con altri artisti. Se un evento, qualsiasi esso sia, può considerarsi a priori, cioè prima che accada, una semplice possibilità, a posteriori deve ritenersi una necessità, affinché ognuno di noi occupi il posto che attualmente occupa. Si allontana, pertanto, dalla pura casualità e diviene palese quel significato che prima ci era recondito.
L'approdo nella Big Apple è stato cercato, voluto, oppure è il frutto di una opportunità che non poteva lasciarsi sfuggire?
Direi che ogni cosa non viene mai per caso, e il percorso di un’artista è spesso un crocevia di incontri che sono il seme delle idee. La mia recente esperienza, mi ha portato a trovare una collaborazione e poi un’amicizia, con Alessio Calestani, che si è rivelata fruttifera sotto tanti aspetti, uno per primo, quello di procedere con spirito giovanile e stimolante, permettendomi di crescere di pari passo con le stesse idee che si sviluppavano nel dialogo e negli incontri.
E così, dopo un lungo itinerario nelle città italiane, durato 15 anni, in cui indubbiamente l’arte del Kiaris è potuta maturare, evolvere, arricchirsi di nuovi elementi, la traversata dall’italiche sponde, ancora intrise di arcaici frammenti, al nuovo mondo, la possibilità di far parlare alle proprie opere un’altra lingua.
Cosa significa per un artista come lei avere la possibilità di esporre le proprie opere in una vetrina importante come quella di New York?
Ho conosciuto e vissuto New York, solo come curioso visitatore, riportando nel mio bagaglio di impressioni la consapevolezza che la sua classicità sta anche nella continua evoluzione ed integrazione… Adesso, a più di dieci anni dal mio primo viaggio, ritrovarla in una occasione così importante è per me una grande emozione, sapendo che sarò sotto gli occhi di un vorticoso fluido pulsante, di una città certamente unica nel suo genere. Il mio pensiero, comunque, è verso quegli artisti che della Big Apple ne hanno fatto una icona indelebile…come non pensare alle note uniche di Gershwin, ai racconti e ai romanzi di James, ai segni vigorosi di Kline, al Brando di Kazan, alla famosa colazione di Audrey, oppure, alla più recente Manhattan di Allen…
Dai colori, che la luce, attraverso le sue fonti naturali, consegna ai nostri sensi, in quei giochi cromatici che non hanno l’eguale in parole bensì solo in immagini, al segno, che diviene espressione non solo dell’immediatezza ma anche l’incipit di un processo razionale che avrà in fieri la sua piena manifestazione, dalla soggettività del sentire la natura nelle sue multiformi manifestazioni, l’eterno movimento, lo scorrere della vita, alla auspicata fine della conflittualità tra “Psiche e Amore”, attraverso la sinergia di segno e colore. Entro questi termini si snoda il percorso evolutivo dell’arte del Kiaris.
Quante e quali "personali" ha avuto la possibilità di presentare al suo pubblico?
Dal 1998 ad oggi, ho tenuto sette personali, tutte in Italia, che hanno sempre presentato il ciclo di opere con cui la mia ricerca di volta in volta progrediva. Elencandole, ripercorro il percorso evolutivo delle mie emozioni, quasi una sorta di film immaginario… Prima del 2000, “Rifrazioni”, in provincia di Parma; nella quale affronto il tema della luce; i grandi cicli dedicati alla luna, al cielo e all’acqua sono i soggetti che la portano a rarefare il colore in uno strato sottilissimo. “I Sincroni”, a Cuneo, opere contraddistinte da due tele assemblate per un'unica percezione, appunto “sincronica”.
Nel 2006 “Per un altro pianeta”, a Brescia, le Reti, opere su juta con sovrapposizioni di reti di varia dimensione e texture; così facendo, il colore imbrigliato otterrà suggestive e singolari variazioni cromatiche. Nel 2009 “Karte”, in provincia di Parma, opere derivate da suggestioni musicali e letterali associate all’osservazione della natura e trasposte su carte di grande dimensione. Nello stesso anno “A-mare”, a Genova, dove ripercorro una sorta di viaggio dedicato al mare, seguendo la traccia guida di una mia poesia.
Nel 2012 presento “Sinergie”, a Milano, fondendo le due componenti della mia ricerca, quella vettoriale e quella ciclica, dove il segno, il colore e la forma sviluppano una coesione di elementi primari.
Qual è, invece, il tema di quest’ultima “personale”?
Le “Cromografie”, sono l’aniconica rappresentazione, la stesura del quadro, nonché la volontà di trovare, aldilà della presenza di una seppur minima e tangibile oggettività, il pensiero all’infinito.
La sensazione che proviamo davanti ad un grande evento della Natura come per esempio l’Oceano, il Deserto, i grandi Ghiacciai. Sono immagini che ci riportano ad uno stadio primordiale, dove siamo totalmente coinvolti in una cosa più grande di noi. Le Cromografie, sono fortemente legate a eventi, soprattutto “naturali”, e quindi a sensazioni che la pittura ci restituisce attraverso temi ecologici quali la Terra, il Mare, e le stesse stagioni. Quasi una rinnovata voglia di valori spesso calpestati da un progresso facilmente soggetto a cancellare tutto.
Ma l’arte è affermazione della propria identità o processo catartico, necessità di comunicare o risoluzione della propria natura finita in qualcosa d’imperituro, o ancora, empito attraverso cui l’anima, colma di esperienze, trasforma un sentire in un dire?
Quali sono le ragioni che la spingono a creare?
Premetto che ho iniziato a dipingere nel 1989, dopo uno dei tanti viaggi e soggiorni a Parigi, dove ho conosciuto gli “Impressionisti” e approfondito la conoscenza della pittura contemporanea. Ma soprattutto, sono rimasto ammirato dalle Ninfee di Monet. Il bagaglio emotivo che i viaggi mi danno è fondamentale nella mia ricerca, oltre alla letteratura, la poesia, il teatro, la musica e il cinema. Una conoscenza interdisciplinare che non esclude nulla ma, che si arricchisce ogni qual volta la nostra volontà di imparare, ci rende coscienti della scoperta. Quel senso di ingenuità primitiva, fatto di una verginità senza la quale ogni percezione verrebbe alterata.
Una pittura dalle eloquenti variazioni cromatiche, ove l’ontologia del segno si rifà al colore e, attraverso lo sviluppo di questo, per analogia o per induzione o per deduzione, ove l’astratto riconduce immediatamente ad un’immagine concreta.
Entro quali canoni estetici possono inserirsi le sue opere?
La pittura è spesso ricondotta al genere figurativo o astratto. Questo modo di classificare l’arte è però un po’ generico e poco adatto a stabilire quali siano veramente le caratteristiche della sua natura. Il dualismo figurativo e astratto, è stato recentemente studiato da Gastone Biggi, (che è stato il mio maestro, e del quale sono assistente); egli infatti, tende a modificare la lettura e l’operatività dell’opera d’arte, annullando per la prima volta la diarchia figurativo-astratto, scrivendo nel 2005 il manifesto del realismo astratto. Io penso che questa chiave di lettura sia molto interessante, soprattutto in questi tempi dove tutto o quasi è stato già sperimentato, e solo un ulteriore approfondimento nel nostro passato potrà darci la spinta necessaria a procedere su una nuova strada.
Source URL: http://test.casaitaliananyu.org/magazine/focus-in-italiano/arte-e-cultura/article/sulla-del-realismo-astratto
Links
[1] http://test.casaitaliananyu.org/files/kiarisstudio1380688316jpg