Don Gennaro Matino… lo incontro qualche anno fa. La prima cosa che mi colpisce, lo ricordo tuttora molto bene, è il suo sguardo lungo. Ancora prima di sentirlo parlare. Guarda lontano, anche se è vicino a te, e sembra scrutare qualcosa che non si vede ad occhi nudi.
Questa è stata la mia sensazione istantanea e mi piace raccontarla qui, prima di scrivere le parole di un’intervista, perchè ho continuato a provarla. Le parole: sì dunque le sue parole. Se la prima cosa che mi ha intrigato è stato il suo sguardo, subito dopo sono arrivate, appunto: le sue parole. Parole intense, precise, acute, sicure, dinamiche, vive, vere. Parole che lasciano il segno. Parole lunghe come il suo sguardo. Parole, forse, profetiche.
Parole di chi sa dare il valore giusto alla comunicazione. Don Gennaro Matino è perfettamente consapevole di questo; parroco e docente di teologia pastorale a Napoli, ha una biografia densa e difficile da sintetizzare.
Riassumendo dico solo che ha operato nel terzo mondo, soprattutto in India; che è editorialista su Avvenire, Il Mattino e Famiglia Cristiana oltre ad altre riviste pastorali; che ha pubbicato numerosi saggi e romanzi teologici. Che è, dal 1986, parroco della parrocchia della SS. Trinità di Napoli.
Il 5 novembre (ore 18.00) presenterà insieme al Prof. Antonio Monda, presso la Casa Italiana Zerilli-Marimò (NYU), un libro che, - sia pure con la dolcezza consona a Don Gennaro Mattino - porta con se una forte provocazione e ha il potere di scuotere le coscienze.
Il titolo parla da solo. Non è facile intuire però che questo testo lo ha scritto un sacerdote: «Economia della crisi. Il bene dell’uomo contro la dittatura dello spread” (Baldini & Castoldi).
Comincio a riportare l’intervista. entrando subito nel merito, lo farò citando spesso passaggi scritti da lui.
“È una crisi che viene da lontano. È la crisi dell’uomo, iniziata negli anni Ottanta, quando al valore dell’essere umano si è preferito quello economico aprendo la strada al pensiero unico, alla globalizzazione dei mercati, alla mercificazione dei diritti umani”. Un’analisi questa che ci vorrebbe tutti pessimisti, invece tu non lo sei. Perché? E’ un libro ottimista. Si può esserlo anche partendo dalla parola crisi?
La parola crisi, nell’ideogramma cinese, significa opportunità e a me piace ritenere che la crisi economica, che ha travolto il mondo, sia un’opportunità per indurci a riflettere e a cambiare stile di vita. Voglio pensare al 2012 come all’anno della svolta in cui tutti ci siamo resi conto di quanto fosse vero quel banale detto, ricco di saggezza: i soldi non fanno la felicità.
Forse col tempo impareremo a guardare al 2012 come all’anno della provocazione che ci ha costretto a vedere dentro di noi, a riappropriarci di noi stessi e a lasciarci alle spalle un’idea errata di economia il cui fine non è accumulare denaro, privilegiare alcuni a danno di altri, ma liberare l’umanità da ogni schiavitù, da quella lotta per la sopravvivenza che mette un popolo contro l’altro e genera lacrime e sangue anche all’interno di una stessa nazione.
Allora il “Il 2012 potrà essere ricordato come l’anno della svolta se la politica, la cultura, la scienza, se tutti gli uomini di buona volontà, se tutti insieme,pronti a invertire la rotta, impareremo a parlare nuovi linguaggi”. Dove si trovano questi nuovi linguaggi?
I nuovi linguaggi già esistono nel cuore dell’umanità, non si tratta di trovarli ma di ritrovarli. Mi riferisco al linguaggio dei popoli e non degli speculatori, a quello della democrazia e non a quello della finanza, al linguaggio dell’utile e non del superfluo, a quello del risparmio e non dello spreco, al linguaggio della condivisione e non a quello dell’individualismo, al linguaggio dell’uomo e non a quello dell’economia.
“La crisi dei nostri giorni aggiunge precarietà a precarietà e sembra progressivamente cancellare ogni speranza di serenità. L’utopia correggela depressione e aziona sentieri inimmaginabili di ottimismo anche nelledifficoltà proponendo un cambiamento di rotta.” Altre parole ottimiste. Ma l’utopia può raggiungere, con la sua valenza positiva, anche chi in questo momento ha bisogno ed è scoraggiato da quotidiani problemi economici? Chi non trova unlavoro, chi non riesce a mantenere o far studiare i propri figli, chi non si può pagare spese mediche…?
Nel cuore dell’uomo, benché le difficoltà, alberga il futuro e oltre il dolore è possibile dare senso al domani. Angoscia, paura, crisi dell’essere,certo raccontano il disagio del vivere, ma proprio questo disagio muove la speranza del nuovo. L’utopia nasce proprio quando ogni speranza sembra svanire e maggiore è il rischio del futuro, maggiore la sensazione del fallimento è pressante, tanto più si alimenta il desiderio di un giorno migliore. L’utopia, forte della speranza, riesce a orientare verso ilsuperamento della realtà presente, motivando di entusiasmo responsabileil pensare positivo anche dinanzi al disastro più complesso. Se taleorientamento si trasforma in azione, costringe gli eventi a mutare l’ordine esistente.
“Due titoli nei capitoli nel tuo libro: Teologia ed economia - Avere o essere: per un’etica del profitto. Ma dottrina cattolica e impresa…. possono realmente dialogare? Come?
La dottrina sociale della Chiesa, dall’epoca della Rerum novarum, ha sempre cercato di dialogare con il mondo dell’economia. In campo aziendale rispondo con quanto dichiarava a suo tempo il Concilio Vaticano II: “Nelle imprese economiche si uniscono delle persone, cioè uomini liberi e autonomi creati a immagine di Dio. Perciò prendendo in considerazione le funzioni di ciascuno – sia proprietari, sia imprenditori, sia dirigenti, sia operai – e salva la necessaria unità di direzione dell’impresa, va promossa, in forme da determinarsi in modo adeguato, la attiva partecipazione di tutti alla gestione dell’impresa”(GS 68). Una indicazione, questa del Vaticano II, che non è pura utopia, ma si può realizzare in una visione di etica aziendale.
La grande sfida che chiama in causa tutti è creare una società che tuteli il bene comune. Dom Hélder, vescovo ausiliare di Rio e poi pastore a Recife - noto per la sua degli oppressi e degli emarginati - sosteneva di non aver paura di essere accusato di fare politica , di essere sovversivo e anche comunista. Tu sostieni che, in ragione del futuro possibile, è necessario avere il coraggio di essere sovversivi. Questo in un tempo in cui la povertà non è tanto lontana geograficamente a tutti noi. Ma combatterla vuol dire anche affrontarne degli aspetti subdoli.
Gli stessi poveri, infatti, sono inconsapevolmente in cerca di falso benessere. Se sanno di non poterlo vivere direttamente, sperano di passarlo ai figli che a loro vota desiderano solo avere per sé beni di lusso. Questa contraddizione la conosce bene chi ha avuto l'occasione di frequentare quartieri emarginati, anche a Napoli.
Quella che proponi è una vera rivoluzione, interna ed esterna, che parte dall’uomo che, dici, ha tradito se stesso. Il suo essere uomo. E vengo al punto: “La crisi non è solo crisi dei mercati, è piuttosto il frutto di uno smarrimento di valori”. Vanno rimessi dunque in discussione modelli di vita. Occorre dare all’impresa una dimensione prima di tutto sociale. Si può ancora? Quali sono le difficoltà?
Innanzitutto, sarebbe troppo semplicistico dire che il mondo è tragicamentein ginocchio a causa di manovre finanziarie spregiudicate. Per quanto possaapparire una forzatura, la crisi economica affonda le sue radici in un vuoto etico, in un silenzio della coscienza che ha permesso al solo profitto di calpestare e tradire qualsiasi valore. Se si recupera il senso etico della vita, compresa l’economia, anche l’impresa può e deve avere una dimensione sociale. Secondo il Professore Sciarelli, un illustre economista napoletano, un’impresa nella sua dinamica deve essere vista come un centro di interessi, tra loro in correlazione e, allo stesso tempo, in contrapposizione, perché dal suo funzionamento debbono prodursi benefici non solo per l’imprenditore, ma per tutti coloro che sono coinvolti nella sua operatività”. La difficoltà, quindi, non è insita nel sistema, ma nella mentalità individualista di chi pensa solo a trarre maggior beneficio per sé a danno degli altri. Una mentalità sbagliata non solo in senso etico, ma anche pratico e d economico in quanto a lungo termine, come si è visto, ha portato alla drammatica crisi che stiamo vivendo.
Parli di sfida educativa. Quale è oggi la responsabilità del mondo accademico per la formazione delle nuove generazioni?
Innanzitutto partiamo dal principio che educare, da educere, significa farvenir fuori sentimenti, attitudini, creatività, il meglio che ogni ragazzo hadentro di sé, mentre la nostra società sta facendo venir fuori il peggio. La sfida educativa, allora, chiama in causa non solo i genitori, ma tutti gli educatori e in particolar modo tutti gli operatori della scuola e del mondo accademico per recuperare il senso della responsabilità educativa. E’ necessario gridare ancora con forza ai nostri ragazzi: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente” (Rm 12,1-2). Educare all’etica pubblica significa, dunque, promuovere nei giovani un radicale cambiamento di mentalità e nessun docente può trincerarsi dietro il tecnicismo della propria disciplina, né dietro il timore di fare ideologia. Si può essere credenti o atei, ma non vi può essere né vera scienza, né vera arte se si travalicano i confini dell’etica.
Sarebbe opportuno che tutte le discipline e gli insegnamenti, tutti i settori della scienza, dell’arte, della cultura, dell’economia potessero maggiormente dialogare tra loro per arricchirsi l’una dell’esperienza dell’altra. Avendo tutte come fine l’elevazione dell’uomo, e senza auspicare una conoscenza necessariamente enciclopedica, si potrebbe garantire un maggiore equilibrio tra il sapere quantitativo e il valore estetico, così da far nascere economia della poesia, o la poesia economica, la matematica estetica o l’estetica della matematica, la fisica dell’arte o l’arte della matematica.
Il tuo libro è per tutti e vuole raggiungere tutti. Anche chi non crede. Ti è capitato di parlarne con un non credente?
Certamente. Molti non credenti ritengono che l’uomo d’affari è un automa che risponde alla domanda del mercato facendo ciò che la società mostra di richiedere e per questo motivo ogni ingerenza di ordine etico in campo economico sarebbe un’inutile forzatura. Ma tale obiezione non regge. L’inevitabile aspetto antropologico implicito in ogni forma di organizzazione economica, capitalista o collettivista o altro che sia, chiama in causa a giusta ragione la riflessione teologico-morale per realizzare un ordine economico che miri alla liberazione dalla alienazione e daogni forma di schiavitù. Di fatto, ci sono anche molti non credenti che la pensano in maniera diversa e sono convinti che nessuna scienza, per quanto autonoma, possa prescindere da principi etici universali che trovano il loro fondamento, al di là della fede e delle religioni, nella nota affermazione di Kant: “Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine, mai solo come mezzo”.
Cosa ti aspetti da questa presentazione a New York?
Spero che questo libro possa scuotere le coscienze, indurre alla riflessionee determinare nel tempo quella svolta etica che trasformi l’utopia in realtà.Certamente penso di tradurlo affinché l’utopia in cui credo possa arrivare oltre i confini del mio paese, della mia lingua. Lo presento a New York, dopo averlo presentato nella mia città, e lo presenterò a New Deli, perché ho scelto di iniziare da tre città che hanno in sé, nel proprio nome, il germe del “nuovo”. Io voglio guardare con fiducia e ottimismo a un futuro diverso in cui, uomini e donne di mondi diversi, uniti da un unico parallelo che avvicini Napoli, New York e New Deli, liberi da ogni sovrastruttura, saranno pronti a investire in valori antichi e sempre nuovi per restituire l’uomo a se stesso.
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Presentazione del libro. Lunedì 5 novembre (ore 18.00)
Con Gennaro Matino, Antonio Monda, Stefano Albertini, Letizia Airos
Casa Italiana Zerilli-Marimò [2] (NYU)
24 West 12th Street
New York, NY 10011
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