La storia di Pier Luigi Vigna è l’appassionante storia di un italiano che si intreccia con la Storia d’Italia così profondamente da diventarne indistinguibile.
Ex magistrato con alle spalle una di quelle carriere troppo dense per essere riassunte solo dalpiù recente degli incarichi conclusi, cioè quello di Procuratore Nazionale Antimafia, noi di i-Italy lo abbiamo incontrato ieri sera alla Casa Italiana Zerilli-Marimò in occasione della presentazione del suo ultimo libro, “In Difesa Della Giustizia” (edito da Rizzoli e redatto a quattro mani con il giornalista Giorgio Sturlese Tosi).
L’opera dipana la matassa misteriosa di quella Storia con la S maiuscola, ripercorsa nei suoi capitoli più oscuri: dalle indagini sul “Mostro” di Firenze a quelle sul terrorismo nero e rosso, dalle stragi di Stato all’omicidio del giudice Vittorio Occorsio, dallo scandalo della Loggia P2 ai colloqui con i capi di Cosa Nostra.
Stefano Albertini, direttore della Casa Italiana, ha accolto Vigna assieme ad Alexander Stille, professore di giornalismo internazionale presso la Columbia Graduate School of Journalism.
Stille, non moderatore ma diapason, ha fornito sapientemente una serie di “la” perché le storie di Vigna – tante, tutte concatenate, personalissime e collettive al contempo – potessero essere raccontate senza sforzo.
Da narratore con molto da dire, Vigna ha corredato ogni aneddoto e ogni digressione di antefatti significativi, per renderne possibile la comprensione ad un pubblico che in gran parte non era ancora nato quando quegli eventi accadevano – molti, infatti, erano i giovani seduti in sala ad ascoltarlo.
Il libro di Vigna è un’autobiografia professionale e umana ed è allo stesso tempo uno scrupoloso lavoro storiografico. È entrambe le cose perché il suo autore non è stato solo un attore di primo piano nella storia che racconta, ma anche un attento e curioso osservatore.
La Magistratura è stata per l’ex Procuratore “un’avventura appassionante” perché gli ha permesso di incontrare persone “che non avrei mai potuto incontrare altrimenti…almeno spero!”.
Si riferisce ai giovani brigatisti come a Pietro Pacciani, a Totò Riina come a Bernardo Provenzano.
Alla maniera di Truman Capote, Vigna ha dialogato con i criminali alla ricerca di quella “medesimezza di esseri umani” che accomuna tutti gli uomini, e così ha potuto tracciare dei profili antropologici utili a comprendere le motivazioni dietro a un gesto criminale, molto diverse se ci si confronta con un terrorista o con un mafioso.
“I migliori collaboratori di giustizia sono i brigatisti pentiti”, egli afferma. Questo perché il terrorista agisce in conformità con degli ideali estremi, che lo legittimano a compiere atti di estrema gravità.
Vigna racconta di quando una volta riuscì ad insinuare nella mente di un brigatista, appena ventenne e già reo di omicidio, il dubbio che “la classe operaia” non lo avesse incaricato di difenderla com’egli credeva. L’allora Pretore di Firenze invitò il giovane ad andare a discutere delle sue idee con gli operai delle Officine Galileo, a Campi Bisenzio. Il ragazzo si rifiutò imbarazzato.
È quando il terrorista comprende che la sua lotta è sbagliata perché i suoi ideali sono sbagliati che si apre la strada ad una revisione, e può nascere la voglia di collaborare con la giustizia, mettendosi al servizio di ideali più degni.
“Il mafioso, invece, di ideali non ne ha”, l’ex Procuratore racconta, e se collabora lo fa per tre motivi: “Per ottenere una riduzione di pena, per paura di essere ucciso, per servirsi dello Stato per attaccare un altro mafioso che non è riuscito ad eliminare di persona”.
La motivazione del mafioso è il guadagno nel senso più ampio del termine, che si tratti di affari o di uno sconto sugli anni da spendere in carcere.
“Possibilmente al 41 bis”, racconta Vigna, che consente ai pentiti di alloggiare in celle separate, senza dover convivere con altri sette o otto detenuti come normalmente accade nelle sovraffollate carceri italiane.
“Dottore, non mi leverà mica il 41 bis?” l’ex Procuratore si sentì chiedere espressamente da un pentito, lo stesso che per sei ore lo trattenne a discutere per illustrargli il concetto di “Sicilianitudine”.
Un uomo normale, Vigna, appassionato del suo lavoro tanto da continuare a sognare la notte di stare conducendo indagini. “È un’ossessione”, Vigna racconta.
Il motivo principale per cui egli ha deciso di pubblicare “In Difesa Della Giustizia” è stato proprio quello di “oggettivare questi sogni”, in cui l’ex Procuratore si trova a dire ai suoi superiori che lo esortano a continuare ad indagare “Ma sono in pensione!”. I superiori gi rispondono sempre di proseguire, “Tanto non se ne accorge nessuno”.
Un uomo normale, appunto, che si è trovato a contatto con personaggi tutt’altro che normali e racconta dei suoi colloqui con loro con un tono tra il divertito e l’incredulo. Come quando “quella volta”nell’agosto del 1976 egli incontrò Licio Gelli prima che lo scandalo della Loggia P2 divampasse. “Ero all’estero, dottore” – Gelli gli disse – “Incontravo il Re di Spagna”.
“Oh perbacco, il Re di Spagna?”
“Sì, è un affare di bistecche.”
“…”
Gelli, prima che il Mercato Comune Europeo venisse istituito, stava agevolando il commercio di carni argentine in Europa. L’ex Procuratore lo aveva convocato nell’ambito delle sue indagini sul caso dell’omicidio Occorsio, poiché Occorsio stesso stava interessandosi alla Massoneria nel corso di investigazioni da lui condotte prima di essere ucciso.
L’inchiesta sull’omicidio Occorsio rappresenta un importante capitolo della vita professionale di Vigna, poiché ebbe fortissime ripercussioni anche sul suo universo affettivo. Parlando di Eugenio, figlio del giudice Vittorio e oggi affermato giornalista italiano, l’ex Procuratore si riferisce a lui come a un figlio.
Tentando di condurre le indagini nel modo più oggettivo possibile, Vigna racconta di quando, risalendo dai bossoli ritrovati sul luogo del delitto all’arma utilizzata, cercò di rintracciare attraverso l’FBI tutte le pistole INGRAM vendute dalla ditta. Un’idea ingenua: anche il dittatore coreano Kim Il Sung ne aveva acquistate una gran quantità.
Il fronte su cui l’ex magistrato si è più recentemente impegnato, nell’ambito del suo incarico di Procuratore Nazionale Antimafia ricoperto dal 1997 al 2005, è stato proprio quello di rivolgere l’attenzione della Procura verso la dimensione internazionale e globale del fenomeno mafioso.
Vigna ha viaggiato in Iran, nelle ex repubbliche sovietiche, in America Latina e in Africa per sensibilizzare i governi locali alla cooperazione contro la criminalità organizzata e continua ad avere molto chiaro il quadro delle attività mafiose nel mondo.
Ad una domanda sulle infiltrazioni di Ndrangheta e Camorra a New York, egli risponde ampliando le prospettive sul problema: la Ndrangheta è radicata soprattutto in Canada, Australia, Belgio e Germania, Vigna spiega, e i fatti di Duisburg del 2007 testimoniano l’entità del fenomeno.
Il problema dell’Italia contemporanea, sostiene, è soprattutto quel vertiginoso totale a cui ammonta il fatturato stimato delle organizzazioni: dai 180 ai 200 miliardi di euro l’anno, a cui si sommano un’evasione fiscale di 120 miliardi, un’economia sommersa di 255-275 miliardi (pari al 17% del PIL) e 50-60 miliardi l’anno che costituiscono il bilancio della corruzione.
Preciso e lucido, Vigna legge le sue cifre da una nota scritta a penna. Ci tiene.
Ci ha tenuto da sempre e ne va fiero, come del fatto che nei suoi anni in magistratura “Siamo stati capaci di fare processi molto duri senza leggi non costituzionali”.
“Via, ora v’ho detto un mucchio di cose!”, conclude. Vi rinviamo al libro per scoprirne molte altre.
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