Chi sceglie i candidati? Chi sono coloro che rappresenteranno gli italiani e da dove vengono? Sono sempre individuati sulla base di navigate strategie tra le segreterie? La politica sembra essersi rinnovata. Nelle circoscrizioni estere, poi, l’esigenza di candidature innovative è, se possibile, ancora più importante.
Il 20 febbraio un gruppo di ricercatori, professori e dottorandi in nord America ha lanciato un appello per la candidatura di Stefano Albertini,
professore di NYU e Direttore della Casa Italiana “Zerilli Marimò” [2]. [2]
Dagli USA, quindi, un’insolita “primaria”. Albertini, 44 anni e da almeno dieci una delle personalità più note e attive nella comunità italiana negli USA, ha accettato volentieri l'appello di chi ha voluto proporre al PD un nome nuovo e d'alto profilo, in cui i tanti italiani in Nord America -spesso ben inseriti nella élite culturale del paese- si possano finalmente riconoscere. In meno di una settimana, il gruppo ha diffuso, solo grazie alla rete, come specifica Albertini stesso a News ITALIA PRESS, un appello sottoscritto da decine di persone ad oggi da 151 persone.
I coordinatori dell’iniziativa hanno presentato ufficialmente venerdì 22 febbraio il loro appello -corredato dalle firme dei sostenitori- all’Esecutivo Nazionale del PD. E News ITALIA PRESS ha chiesto aggiornamenti allo stesso Stefano Albertini.
Allora, sarà candidato per il PD?
“La candidatura è nata da un gruppo di colleghi, è nata da un’idea loro. Io ho un lavoro, che mi piace molto – dice sorridendo – quindi non sto cercando un’alternativa professionale. Quello che però mi interessava, del come mi hanno formulato la proposta questi amici era l’idea di un esperimento di democrazia diretta. Cercare di fare le cose partendo dal basso, dalla base, come si diceva una volta.”
E com’è andata?
“Il Partito Democratico ci ha chiamati a scegliere il Segretario con le primarie che abbiamo fatto nell’autunno scorso. Abbiamo partecipato, in un gruppo notevole di persone. E poi, però, non ci chiedono mai, quando si tratta di scegliere le persone che devono rappresentarci qui. E sono sempre scelte delle Segreteria, a prescindere dalle indicazioni che possono venire. E qui è venuta fuori un’altra opzione, bella come metodologia da proporre. Quindi questo gruppo di persone ha lanciato questa iniziativa, esclusivamente attraverso la Rete. Passaparola, amici, e abbiamo raccolto le adesioni. La maggior parte di professori o ricercatori in Università americane. Quello è l’ambito in cui mi muovo preferenzialmente. Poi, però, ci sono anche altre persone, con il mio lavoro vengo a contatto con la comunità italo-americana, le associazioni regionali o ricreative”.
Questa origine dal basso è rientrata poi nella strategia del Pd. Come è stata accolta dalle segreterie?
“Noi ci siamo mossi in maniera molto limpida. Abbiamo raccolto le firme e le adesioni e abbiamo mandato la proposta – verificabile on line – all’esecutivo nazionale del Partito Democratico, a Lapo Pistelli che è responsabile della sezione esteri. Ma non è che abbiamo un referente o un patrono o qualcuno che sta spingendo questa candidatura. Proprio perché è nata così e così vuole mantenersi”.
Non un politico tradizionale, insomma, né una candidatura classica.
“Certo, per riferimento e valori, faccio capo a quell’area del Partito Democratico, però non sono una creazione dell’apparato, ma della società civile. Non abbiamo avuto reazioni ufficiali dalle segreterie, ma si sentono commenti, anche di persone che magari qui sono più immerse, ma non ci faccio molto caso, né le vado a sollecitare. A prescindere da come andrà a finire, mi sembrava molto bella l’impostazione. Non solo per la scelta dei candidati all’estero, anche se qui, forse, ha ancora più senso, perché, essendo lontani da Roma e dall’Italia, siamo noi a conoscere la realtà dei luoghi, conosciamo le persone, sappiamo chi fa cosa e in che modo. Come metodo, dire: sentiamo le proposte della società civile, mi sembrava una bella sfida”.
Le candidature dovrebbero definirsi a breve.
“Così mi dicono, sì. Dovrebbero chiudersi prima perché all’estero votiamo prima degli italiani che votano in Italia”.
E non si sa come andrà a finire. Albertini ride: “No, di questo non ne ho la minima idea. Però assicuro, la cosa più importante è il cammino che si fa. La questione non è la mia persona né la mia candidatora, ma il metodo, la società che dà impulsi al partito. Almeno, abbiamo posto una questione importante. Poi loro decideranno se prendere in considerazione questa proposta o se seguire scelte in base strategica, anche perché ci sono molti elementi di cui tenere conto. Massimo rispetto per le considerazioni che stanno facendo, certo molto serie”.
Nelle elezioni del 2006, candidati del centro-sinistra sono stati criticati per essere scomparsi dopo l’elezione dai territori. E’ una risposta anche a queste mozioni?
“Non me la senti di criticarli. Li ho visti in contesti pubblici, e certo hanno davanti un collegio che va dall’Alaska alla Penisola dello Yucatan. Una presenza fisica sul posto, combinata con la partecipazione attiva a Roma, soprattutto dei Senatori, che dovevano essere lì minuto per minuto per assicurare la tenuta del Governo, certo è stata difficile da garantire. Non mi sento di criticare”.
E per il futuro?
“Con i mezzi che ci sono adesso, un rapporto si potrà mantenere anche in forme diverse da quella della partecipazione personale. Assemblee di partito, di quartiere e altro. Non me la sentirei di buttare addosso quest’accusa a chi c’è stato finora. E con un anno e mezzo di legislatura, era veramente poco il tempo a disposizione”.
E poi. La domanda sorge spontanea. La fuga dei cervelli sarà nel suo programma?
“Quello è un termine che detesto. Mi sembra un concetto superato. Vorrei che non rientrassero i cervelli in Italia, vorrei che i cervelli continuassero a circolare e non a fuggire. Vorrei che l’Italia avesse dei punti di eccellenza tali, che diventassero delle calamite che attraggono sia scienziati italiani che turchi, cinesi, spagnoli, che sono così bravi da voler fare ricerche in Italia come noi adesso vogliamo andare al MIT, ad Harvard, alla New York University. Mi sembra che ci debba essere un superamento di questo concetto. La soluzione è questa”.